Il 16 maggio 1791, la coppia giunse a Londra e si sistemò al Nerot’s Hotel in King Street, dove lord Hamilton era solito prendere alloggio. La prima persona che Emily volle vedere fu il pittore Romney che, invecchiato e malandato in salute, l’accolse con gioia e riprese subito il pennello per ritrarla. E, nonostante fosse occupatissima per i preparativi del matrimonio e impegnata nelle visite a parenti ed amici di sir William (Emily rivide pure “Little Amy”, ormai di circa 8 anni), la divine posò per il suo affezionato Romney, almeno trentasei volte.
Seguirono serate di gala, nelle quali Emily sfoggio le sue doti artistiche, eseguendo con ammaliante trasporto le aree più significative della “Nina pazza per amore” di Paisiello, suo cavallo di battaglia. Intanto, in quell’estate, la giovane Emily, con la sua bellezza ed il suo talento, stava conquistando tutti a Londra, ma non certamente il “cuore” della Corte inglese. Tutte le attenzioni erano rivolte all’ambasciatore e alla sua compagna. L’aria vibrava di pettegolezzi e osservazioni, ma Lord Hamilton non vedeva e non sentiva. L’alta società inglese si era divisa: da una parte i tanti amici di sir William, che avendo accettato l’invito di conoscere Emily ne tessevano le lodi; dall’altra i perbenisti, che preferivano non incontrarla fintanto che la situazione della coppia non si fosse regolarizzata.
Sir Horace Walpole, che aveva espresso sul suo diario personale, prima ancora di conoscere Emily, un giudizio negativo, dopo averla incontrata annotò: «La Signora Hart il mese prossimo diventerà Madame l’Envoyée de Naples, giacché la regina di Napoli ha manifestato il suo desiderio di riceverla in tale qualità. Qui, invece, ella non può pretendere di essere presentata a Corte, dove pare siano ammesse solo spose ultravirtuose come la duchessa di Kingston e la mrs Hastings, che possono incedere tenendo per mano il loro sposo. Ma dimenticavo di ritrattare e di fare amente honorable nei confronti di mrs Hart. Avevo solo sentito parlare dei suoi “atteggiamenti”. Canta a meraviglia, possiede una voce forte e bella, eccelle nell’opera buffa e si dimostra sorprendente attrice tragica. (…)».
Comunque, chi entrava in contatto con Emily ne restava colpito positivamente e rimuoveva subito l’iniziale pregiudizio. I cambiamenti di giudizio furono tanti e malgrado ciò, e nonostante tutti gli sforzi dell’Ambasciatore, la giovane Hart non sarebbe stata ricevuta a Corte. Giorgio III avrebbe voluto accordare quell’udienza così ardentemente sollecitata dal suo vecchio e fedele amico, ma non osò sfidare l’ostilità della regina Charlotte. Ferito nell’orgoglio, lord Hamilton informò tuttavia il re sui suoi progetti matrimoniali e ottenne da questi un tacito assenso. Anzi non lo incoraggiò a richiedergli il permesso previsto dall’etichetta, e lasciò capire che le nozze non avrebbero pregiudicato la sua missione diplomatica a Napoli.
Il 6 settembre 1791, nella cappelletta di Marylebone, non lontano da Edgware Road, alla presenza dei due testimoni, il marchese di Abercorn e Louis Duntes (segretario dell’ambasciatore inglese a Torino), il reverendo Edward Barry dichiarò sir William Hamilton e miss Amy Lyon marito e moglie. Al momento del “si” l’atmosfera era tutt’altro che serena. Quel matrimonio era considerato almeno un’imprudenza ed era largamente condivisa l’opinione che sir William stesse per concludere la sua carriera di ambasciatore, travolto da uno scandalo di cui si sarebbe parlato a lungo. Del resto, i migliori ambienti londinesi erano in ebollizione, e non meno agitato era il rappresentante borbonico a Londra, il principe di Castelcicala, costretto a rincorrere voci sempre più amplificate secondo le quali nel giro di pochi giorni lord Hamilton sarebbe stato espulso dal corpo diplomatico o, nel migliore dei casi, sarebbe stato indotto alle dimissioni.
Nel pomeriggio del giorno delle nozze lady Emily posò, per l’ultima volta, davanti a Romney, nel suo studio di Cavendish Square, per un quadro che venne poi intitolato “L’Ambasciatrice”.
Il giorno dopo, sia l’European Magazine che il Gentleman’s Magazine riportarono (più o meno in maniera analoga), un laconico trafiletto: «Sir William Hamilton, inviato straordinario e ministro plenipotenziario alla Corte di Napoli, ha sposato miss Hart, donna celebre per la sua bellezza e il suo talento di musicista».
Intanto, la coppia aveva già lasciato Londra. In questo modo lord Hamilton evitava di dare ulteriori strattoni ad una corda, già troppo tesa, che si sarebbe certamente spezzata, con gravi conseguenze per il suo futuro. In concreto, la partenza immediata gli consentiva di scongiurare la richiesta di presentare la sposa a corte, com’era nelle consuetudini, e quindi di sfuggire ad un rifiuto che avrebbe, inevitabilmente, compromesso anche i rapporti con i sovrani delle Due Sicilie, costretti ad adeguarsi. Presumibilmente, l’escamotage era stato concordato in alta sede, tenendo conto delle benemerenze acquisite dall’Ambasciatore nel corso della sua lunga missione all’estero, ed era stato tenuto segreto. E ciò spiega l’agitazione del principe di Castelcicala, il quale inviava dettagliate relazioni al suo primo ministro, sir John Acton, per metterlo al corrente delle voci che circolavano con insistenza, e che era difficile controllare, su un matrimonio che lui, comunque, per ribadire le sue preoccupazioni, definiva senza mezzi termini “infelice”.
Nella realtà, mentre gli sposi navigavano verso il continente, lo scandalo era già finito negli archivi dei centri di potere, classificato tra le stravaganze di personaggi non privi di merito verso i quali si poteva essere indulgenti. E poco importava se tali nozze continuavano ad animare, tra sorrisi e battute, i pettegolezzi dei salotti. In definitiva, si potrebbe concludere che Giorgio III, non sollevando sir William dal suo ruolo diplomatico, di fatto lo “esiliava” nel lontano Regno napoletano, come una sorta di punizione per aver favorito “contro etichetta” l’ascesa sociale di Emily Hart.
La coppia – sessantuno anni lui, ventisei lei –, attraversò la Manica partendo da Dover e sbarcò a Calais, sul suolo di Francia, che da circa due anni era precipitato nel tumulto e nel disordine. Nel corso dell’estate del 1791 la politicizzazione del paese si era accelerata. I giornali realisti predicavano la resistenza, l’emigrazione aumenta. Il paese sprofondava nella guerra civile. Il 21 giugno 1791, la famiglia reale aveva tentato di fuggire da Parigi nella speranza di mettersi sotto la protezione dell’imperatore d’Austria. Riconosciuti a Varennes, il monarca e la moglie erano stati ricondotti a Parigi e rinchiusi sotto stretta vigilanza alle Tuileries. Il 27 agosto, con la dichiarazione di Pillnitz, Austria e Prussia avevano invitato gli Stati europei ad una crociata contro la Francia, creando nel paese forti risentimenti xenofobi. L’Inghilterra, per il momento, non vi aveva aderito. Infine, il 4 settembre era entrata in vigore la nuova costituzione, in base alla quale al re restava solo il diritto di veto sulle leggi, mentre il potere autentico passava all’Assemblea Legislativa in cui prevalevano girondini e giacobini.
In questo clima a dir poco burrascoso, la nuova lady Hamilton e suo marito arrivarono nella capitale francese. Alloggiarono in Rue de l’Université. Alcuni giorni più tardi ebbe luogo un incontro che si sarebbe rivelato determinante per i futuri rapporti che sarebbero intercorsi tra lady Hamilton e la regina Maria Carolina. Nonostante la semiprigionia nella quale i sovrani si trovavano, non fu negato l’accesso, dopo lunghe insistenze, all’ambasciatore britannico a Napoli e alla sua consorte. Così i due furono ricevuti in udienza privata da Maria Antonietta, che consegnò a Emma una lettera scritta di propria mano per la sorella Maria Carolina. La lettera doveva essere portata in tutta segretezza, approfittando della immunità diplomatica di cui adesso godeva lady Hamilton, perché, fin dal luglio precedente, ossia dopo Varennes, la regina Maria Carolina aveva rotto apertamente col barone Charles-Maurice de Talleyrand, rappresentante della Francia a Napoli. Lo aveva fatto, però, solo in nome proprio e di Ferdinando, non in nome delle Due Sicilie. Veramente il re non era affatto propenso a un passo del genere ma, come sempre, per pigrizia aveva assecondato la moglie.
(7. – “Amy Lyon: una lady alla Corte di Napoli” 2013)
Roberta Mangano
Salvatore Musumeci