La scorsa domenica 1 dicembre, Paolo Barnard, saggista, giornalista d’inchiesta e conduttore della trasmissione televisiva Report, ha tenuto presso l’aula Magna dell’Itis “Fermi” di Giarre una conferenza dal titolo “È un economicidio – Il disastro dell’eurozona e come uscirne”, basato sul libro scaricabile gratuitamente su internet dal titolo “Il più grande crimine”, una inchiesta, scritta in stile narrativo affinché sia leggibile a tutti pur mantenendo il rigore scientifico grazie alla consulenza di dodici economisti di fama internazionale. Durante il convegno, organizzato dai giarresi Salvatore Lorenzo Patané e Massimo Randazzo con il supporto del coordinamento regionale ME-MMT, sono state esplicitate alcune teorie e scenari, in seno alle scelte politiche attuate in Europa negli ultimi 80 anni, volte a garantire il ritorno del potere economico che era detenuto da poche famiglie prima della nascita degli stati moderni. Affinché ciò potesse avvenire si è intervenuto su due aspetti.
Il secondo intervento è rappresentato, invece, dalla nascita della “balla” della comunità europea. Tutto inizia nel 1957, anno in cui si cerca di gettare le basi per la costituzione per di una confederazione di stati Europei, con la scusa di contrastare la nascita di nuovi conflitti per ragioni economiche. Ne segue il percorso che noi tutti, più o meno, conosciamo e che ha portato alla creazione della moneta unica. Ne è la dimostrazione anche la presenza nella commissione europea di 254 lobby di potere di appena 54 rappresentanti europei eletti dal popolo. In seno alle commissioni nascono i trattati che hanno sovranità rispetto alle leggi nazionali.
“Sono certo che nessun politico italiano che ha firmato i trattati anche di 2000 pagine – dice testualmente Barnard – abbia mai letto il contenuto. I trattati sono spaventosi e dicono che la spesa dello Stato deve essere ingabbiata”. Ad esempio, nel 1992, il trattato di Maastricht determinò la nascita della moneta unica, la moneta capace di stare al di sopra di tutte le altre monete; successivamente uno dei trattati stabilì che la spesa dello Stato non deve essere superiore al 3% del P.I.L. (prodotto interno lordo, ossia di ciò che è in grado di produrre la nostra nazione). Nel 2013, entrò in vigore il “fiscal compact” con l’obiettivo di ingabbiare lo Stato nella capacità di legiferare nelle politiche di bilancio. Insomma, una serie di trattati hanno fatto si che si traducesse in legge la loro ideologia.
Nella visione dei pensatori contrastati dalle famiglia in cerca del controllo del potere attraverso la finanza, lo Stato deve mantenere la centralità nella politica di crescita e sviluppo della nazione, poiché lo Stato ha anche la funzione di creare liquidità attraverso la spesa: lo Stato crea moneta ed immette liquidità all’interno dei propri confini, per offrire al cittadino e alle imprese di creare ricchezza e poi la sottrae ai cittadino, attraverso l’esazione delle tasse. Il percorso secondo il quale lo Stato tassa per poi dare i servizi non è corretto: prima lo Stato distribuisce e poi raccoglie. Lo Stato efficiente emette moneta in una quantità superiore all’ammontare delle tasse riscosse, con l’obiettivo, in prima istanza e per un periodo limitato, di creare infrastrutture. Per periodo limitato si intende, il tempo necessario per raggiungere la massima occupazione possibile al fine di evitare spinte inflazionistiche.
I trattati come quello del “fiscal compact”, invece, permettono allo Stato anche di prelevare una quantità superiore di tasse rispetto a quanto erogato, così come accaduto nel 1992, quando lo Stato realizzò il pareggio di bilancio. Il pareggio di bilancio è, nel contempo, diventato principio costituzionale in Spagna ed in altri pesi membri dell’Eurozona. In situazioni del genere i cittadini, per finanziare le proprie attività, anche economiche, sono costretti a ricorrere alle banche per chiedere prestiti o intaccare i loro risparmi. Da qui, si può dedurre che il deficit è la ricchezza dei cittadini: in tal senso il “regime” iniziò a parlare di debito pubblico e non più di debito dello Stato. Ovviamente, per far cambiare, agli occhi del cittadino, la visione nei confronti del debito: non un’opportunità per creare ricchezza ma un peso da contrastare. “Una spesa possibile pari al 3% del P.I.L. ci rende deboli, incapaci di creare ricchezza, contrastare la crisi proveniente da fuori. Lo Stato deve esercitare una politica economica e non una politica monetaria”.
Armando Castorina