I “cunti” del demistificatore -
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I “cunti” del demistificatore

I “cunti” del demistificatore

Roberto Bonaccorsi, primo cittadino di Giarre, elegge Pietrangelo Buttafuoco a icona rappresentativa della sua filosofia di vita

 Il processo di massificazione e di omologazione scatenato dal fenomeno della globalizzazione, ha determinato un appiattimento dei valori tale da annebbiare la vista dell’osservatore critico che tenta di riconoscere, tra i componenti dell’universo che lo circonda, i soggetti cui dare credito. Forse, solo ricorrendo all’espediente della decontestualizzazione dell’individuo esaminato, chi indossa i panni dell’osservatore potrebbe riuscire nell’impresa di carpire la vera essenza che caratterizza la persona oggetto delle sue indagini. Premesso ciò, esistono alcuni soggetti i quali hanno compreso che remare controcorrente rappresenti l’unica strategia da adottare, al fine di non degradare la propria quotidianità a frammento dell’esistenza improntato, esclusivamente, alla tutela della propria sopravvivenza.

Il declino scaturito dal perseguimento di una politica i cui meccanismi inducono l’individuo ad uniformarsi ad un determinato modello, ha suggerito, a quanti hanno intravisto in questa dinamica il rischio di dover rinunciare al proprio io, l’idea di impugnare la propria identità e rivendicarla, al fine di lanciare un messaggio denso di quel fascino che solo un’immagine improntata alla diversità racchiude. Secondo questa visione, quindi, solo sposando quell’atipicità che rappresenta una cesura rispetto ai condizionamenti generati dall’appartenenza a un microcosmo, l’essere umano può riconquistare autorevolezza e autonomia. Nella società odierna, sottrarsi all’omologazione potrebbe rappresentare un rischio per la qualità dell’esistenza, ma l’insipido risvolto di una scelta condivisa comincia a suggerire a qualcuno di provare una strada alternativa.

È su questo aspetto che convergono i pensieri di Bonaccorsi e del giornalista Buttafuoco, durante l’incontro svoltosi, presso la Sala “Messina”. Il Sindaco di Giarre, in linea con il pensiero del giornalista de “Il Foglio”, secondo cui l’uomo debba avere un’identità e non un’appartenenza, ricorda, infatti, di aver appoggiato, nella sua precedente esperienza amministrativa a Catania, un Sindaco (non più in carica) come Stancanelli, distintosi per la sua propensione a privilegiare un interesse generale che non era la sommatoria di interessi particolari. Bonaccorsi addebita, pertanto, l’ultimo insuccesso elettorale di Stancanelli a quel provvedimento impopolare che indusse quest’ultimo ad innalzare gli oneri fiscali e ad approvare un piano delle partecipate che, sostanziandosi nella cessione di queste, infliggeva un duro colpo ad un privilegiato strumento di espressione del clientelismo.

Riallacciandosi alla dissertazione di Bonaccorsi, secondo cui occorrerebbe affrancarsi dai vincoli di matrice ideologica o partitica, Buttafuoco esplicita tutta la sua rabbia per una subcultura che ha portato il popolo siciliano ad essere, non solo mercè delle istanze altrui, ma anche ostaggio delle logiche dell’invasore di turno, tese al depauperamento della nostra terra. Egli, poi, stigmatizza l’autonomia, in quanto la storia della Sicilia ci racconta di un popolo soggetto a dominazioni che testimoniano l’incapacità “sicula” di essere comunità in grado di preservarsi.

Il giornalista esprime anche tutta la sua amarezza, non solo per gli inganni di una sedicente politica locale che indossa i panni della redentrice, ma anche per la costante involuzione conosciuta da una regione sempre più lontana dalla cultura imperniata sulla sacralità del libro. La perdita di consapevolezza del valore commerciale e umano che un libro può racchiudere ha, infatti, trasformato la società siciliana in una realtà ulteriormente schiava di un mercato alieno al patrimonio di risorse isolane.

Diversamente, i tempi rispolverati dal giornalista e afferenti alla sua opera “Il dolore pazzo dell’amore”, sono quelli di una società in cui i figli, assorbendo i contenuti dei racconti tramandati oralmente, assimilavano un patrimonio di conoscenze che li rendeva, oltre che siciliani, cittadini del mondo. La riflessione sull’amore come sentimento che assume un profilo eterno quando matura la consapevolezza del distacco, sembra, nella raccolta dei “cunti” in questione, un espediente con cui l’autore si rifugia, nostalgicamente, in quel passato lontano dalle amarezze di un arido presente siciliano. Ma sarebbe riduttivo limitarsi a tale disamina. Abbeverarsi del dolore che gocciola dall’amore perduto, significa infatti, oltre che rivivere la percezione sensoriale di certi momenti, custodire la propria storia personale e dunque non rinnegare se stessi.

Umberto Trovato

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