La politica come vocazione -
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La politica come vocazione

La politica come vocazione

Giarre: Elìa Torrisi presenta il suo saggio che parla del ruolo della Chiesa in un mondo dominato da un profondo degrado morale ed etico

 Se l’essere umano si soffermasse ad analizzare le dinamiche comportamentali della società ricorrendo alla tecnica manzoniana della focalizzazione zero, forse, si ritroverebbe nelle condizioni per tracciare un quadro del clima odierno quanto più conforme alla parabola discendente che sta connotando la civiltà del terzo millennio. La focalizzazione zero era, infatti, una tecnica letteraria adottata dal letterato Alessandro Manzoni ne “I Promessi sposi”, in virtù della quale lo scrittore esaminava le vicende come se le osservasse dall’alto. Questa prospettiva consentiva al Manzoni di conoscere anche i travagli interiori che caratterizzavano i personaggi del suo romanzo. Ma l’aspetto più rilevante di tale strategia narrativa risiede nel privilegio di esaminare i fatti con quella lucidità, grazie alla quale è possibile consegnare al lettore una narrazione dei fatti che ricalchi la realtà. Solo un occhio esterno e, dunque, alieno ai coinvolgimenti emotivi, che possono maturare quando si esamina una problematica dal suo interno, può infatti tracciare un bilancio che riveli le vere criticità di un sistema.

Posto ciò, se ogni individuo adottasse lo spirito critico predetto nell’approccio con la società che lo circonda, realizzerebbe che una consistente percentuale dei patimenti dell’umanità sia addebitabile a logiche cui il prototipo dell’uomo del XXI secolo ha conferito un’aura di sacralità. Il pragmatismo e la tensione verso traguardi effimeri, come la dilatazione della propria opulenza economica, e l’ascesa lungo i gradini della scala sociale, assurgono ormai a capisaldi del “modus vivendi” dell’essere umano. Tuttavia, la crisi globale che da anni attanaglia la collettività, sta certificando come l’essere umano abbia asservito la propria coscienza a dinamiche di approccio con l’esistenza capaci di acuire disvalori come la disuguaglianza e la disarmonia tra i vari strati del tessuto sociale. La logica plutocentrica (linea di pensiero che ruota attorno al denaro), che ha connotato la politica coloniale adottata in passato dai Paesi occidentali, ha, per esempio, contribuito a costruire una civiltà disomogenea, nella quale l’ingordigia di profitti dell’Europa ha incrementato la condizione di indigenza della popolazione africana.

I conflitti bellici intrapresi dagli Stati Uniti d’America, con lo scopo di accumulare proventi derivanti da territori in possesso di risorse che muovono l’economia, rappresentano un altro tassello che ha determinato la definizione di squilibri nella nostra civiltà. Invece, inerentemente alle differenze di classe che hanno comportato una stratificazione della società, un ruolo determinante nella costruzione di una struttura in cui alcune delle sue componenti languono in una condizione di vessazione, è stato svolto dal ricorso alla logica capitalistica. Questa logica, infatti, come intuì Karl Marx, ha condannato l’operaio, ascrivibile alla categoria del proletariato, ad una condizione di povertà a volte paradossalmente proporzionale alla quantità di lavoro svolto. Come sosteneva Marx, infatti, “l’uomo diviene tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che egli produce”. Tale considerazione nasceva dalla consapevolezza che la maggiore quota dei profitti fosse appannaggio del capitalista, quando invece occorreva, secondo la sua logica, che il proletariato si impossessasse del potere creando forme di produzione collettiva in una società non più frammentata in classi antagonistiche ma fondata sulla libera associazione.

L’assolutizzazione del concetto di rivoluzione, come espediente necessario ai fini dell’instaurazione di una società più equa, rappresenta forse l’unica aberrazione di una riflessione che, però, individua un meccanismo perverso insito nella logica improntata alla necessità di estremizzare i concetti di crescita e sviluppo. Il consolidamento della teoria secondo cui il benessere collettivo passa attraverso l’ottemperanza ad una politica mirata all’incremento della produttività, rappresenta il grande inganno perpetrato ai danni di una popolazione mondiale, sulla cui coscienza non sempre la Chiesa è riuscita ad esercitare un’efficace azione moralizzatrice.

Sull’essenzialità del ruolo della chiesa in una società segnata da un profondo degrado morale ed etico, si è dissertato in occasione del dibattito incentrato sulla presentazione del saggio, ad opera di Elìa Torrisi, dal titolo “La politica come vocazione: il bene comune e l’impegno della chiesa”. Nel corso della conferenza, svoltasi presso il Palazzo delle Culture e curata dal docente Nicolò Mineo, dal dott. Rosario Sorace, dal presidente dell’associazione “Liberi e cittadini”, Salvo Patané, e dal dott. Pippo Vecchio, sono emersi concetti come quello, sviluppato da Patanè, secondo cui senza etica, la politica è puro cinismo. Il dott. Mineo ha, poi, specificato che oggi urge una convergenza tra persone di buona volontà e individui con competenze e obiettivi. Egli inoltre, riprendendo una considerazione dell’antifascista Togliatti, ha precisato come sia indispensabile che il popolo italiano non sia spaccato in due.

Sorace ha poi evidenziato come la Chiesa debba fungere da collante tra il mondo dei cattolici e gli atei, poiché le ragioni degli oppressi e dei poveri appartengono non solo agli atei ma anche a coloro che non sono cattolici e che, quindi, professano altre religioni. Sorace ha, inoltre, precisato come nell’era odierna sia consueto confondere la laicità con il laicismo, quando invece la laicità può essere parte integrante della fede poichè trattasi dell’autonomia decisionale dell’individuo rispetto ad ogni condizionamento ideologico, morale e religioso. Diversamente il laicismo, spesso frutto di travisamento del concetto di laicità, consiste nella rivendicazione dell’autonomia dello Stato dall’autorità ecclesiastica sul piano politico, economico e sociale e nel terrore che ogni intervento di carattere morale da parte del Vaticano possa suonare come una forma di ingerenza. Il relatore ha, poi, evidenziato la problematica inerente al ginepraio di ordini religiosi (Opus Dei e Legionari di Cristo) che, spesso, hanno trasformato la Chiesa in una sovrapposizione di appartenenze, spesso non comunicanti tra di loro, perchè ognuna dotata di una propria liturgia, di una propria disciplina e di un personale patrimonio di credenze.

L’autore del saggio ha esplicitato come l’era odierna sia schiava dell’esasperazione delle discipline economiche mirate ai profitti, quando occorrerebbe inserire nei piani di studi dei corsi di etica. Torrisi ha, poi, chiarito che il debito che attanaglia per esempio l’Italia, non sia esclusivamente finanziario e che, quindi, non si possa ridurre tutto in paradigmi finanziari. Egli ha poi precisato che l’estremizzazione della tecnica che ha contraddistinto gli ultimi anni di governo sia sbagliata, poiché il popolo deve essere consapevole. L’autore del saggio ha specificato che è possibile fare politica con il gazebo, il volantinaggio e recandosi ad un circolo politico. Inoltre, è stato specificato come, fino ad ora, la spesa pubblica sia stata finanziata con il debito pubblico e che il neoliberismo stia minacciando il potere dello Stato sociale, poiché si sostanzia in un’esaltazione del potere ed in un decremento dell’incidenza del potere dello Stato nella vita pubblica. Torrisi poi si sofferma sul problema di un’attività politica che si è ormai professionalizzata e personalizzata, specificando anche che viviamo in tempi in cui la classe dirigente, proprio come aveva previsto Karl Marx, si è ristretta. Elia Torrisi poi precisa che in uno Stato sociale di diritto come il nostro, favorire la concorrenza ed aprire il mercato non è sbagliato, poiché la concorrenza è sinonimo di democrazia. Inoltre, egli ha specificato che in quest’era attanagliata da clientelismo, corruzione, burocrazia, e dalla cattiva distribuzione della ricchezza, sia necessario spogliare il significante dell’aura di sacralità riassegnando la priorità all’importanza del significato. Sorace, inoltre, dopo aver specificato la differenza tra liberalismo, inteso come Stato limitato nei suoi poteri, e liberismo, inteso come Stato limitato nelle sue funzioni, ha rimarcato come non vi sia alternativa ad una democrazia rappresentativa e che occorra uscire dall’individualismo esasperato, mirando alla redistribuzione del reddito e all’abbassamento di una pressione fiscale troppo elevata in certi ceti.

Umberto Trovato

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