Una donna salvata dalla sua stessa arte: la scrittura. Un passato dagli scenari inquietanti riemerge dal fantasioso racconto della scrittrice Silvana Grasso, ma ,attraverso la scrittura, la letterata estrinseca quella purezza che la salva idealmente dal coltello della madre, poggiato sulla sua giugulare. È questo il concetto principale che traspare dalla dissertazione curata da Silvana Grasso in occasione della presentazione della sua opera “Il cuore a destra”. Nel corso della sua trattazione, incardinata nel contesto di un evento organizzato dalla “Società di Storia Patria e Cultura”, l’autrice evidenzia l’esistenza di una dicotomia in sè. Ma questo apparente contrasto mette invece in luce due parti complementari e non in antitesi. Silvana Gasso infatti spiega che la parte più pura di sè interviene a tutela di quella che scrive.Specificato ciò però, la scrittrice sciorìna l’irrefrenabile desiderio che la gente la apprezzi principalmente per la sua parte ingenua e semplice e non per quella potente di cui i lettori sono avidi: ovvero quella che dedica nottate ad una scrittura di getto. In ogni caso, la scrittura diviene la sua colonna dorica o il castagno dei cento cavalli cui si aggrappa per sfuggire alla contaminazione ad opera di un mondo che obbedisce alla logica della tassonomia. Vivere per esistere. In questo aspetto risiede il comandamento di una società che individua nelle etichette un elemento senza il quale la persona sarebbe priva d’identità. La Grasso, ciononostante, sfugge a questo ineluttabile destino, rompendo gli schemi convenzionali. Silvana infatti rievoca un microcosmo che, sebbene le abbia dato i natali, non l’ha mai partorita. Nel suo racconto, si dipinge la figura di Billonia, ovvero un personaggio con una malformazione cardiaca che trasforma un negozio di polacchini in un centro di consulenza in materia di stregoneria. Tale metamorfosi dell’ambiente lavorativo, fortemente propugnata da Billonia, rappresenterà il primo passo verso un nuovo percorso scandito dall’incontro con la straniera Maridda. Un illustre parterre di figure dotte tesse le lodi di questo racconto immaginario, attraverso il quale la Grasso rivive un passato dalla normalità agghiacciante. Tuttavia, lo status di clandestina a bordo di se stessa, consente alla scrittrice di salvarsi. Nella descrizione dei contadini dai piedi maleodoranti emerge il suo sconcerto per la dimensione in cui ha mosso i suoi passi da giovanissima. Tuttavia, la scrittrice non rinuncia a tornare nella sua Macchia, dove, in senso figurativo, non è mai nata. È Macchia la località che nelle pagine dell’opera viene ribattezzata “Spinasanta”, in nome della creazione di un racconto denso di rimembranze celate da un involucro di fantasia e immaginazione. A qualsiasi lettore, la predilezione che la Grasso estrinseca nei riguardi della scrittura appare come un desiderio di rifugiarsi in un autismo che è sinonimo di silenzio. Sebbene tale disamina risponda al vero, in questo ricorso ad una metaforica location densa di solitudine, quale la scrittura, si nasconde paradossalmente un incontenibile anelito, da parte della scrittrice, non solo di vivere senza le miserie che il mondo semina ma anche di appagare la propria sete di affetto.