I carabinieri del Comando provinciale di Caltanissetta, coordinati dalla locale Procura della Repubblica e dalla Procura della Repubblica di Messina, hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di quattro soggetti, ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio dei cavi di rame. I militari dell’arma hanno, inoltre, sequestrato due aziende di compravendita di materiali ferrosi, un autoarticolato utilizzato per il trasporto del rame rubato e diversa documentazione utile al successivo sviluppo delle indagini.
I furti di rame, crescente piaga estesa su tutto il territorio nazionale, in Sicilia hanno raggiunto, da tempo, proporzioni preoccupanti, tanto da rendere l’isola una delle regioni maggiormente colpite: la peculiare azione criminosa, oltre ad integrare considerevoli danni e disagi al singolo cittadino, configura perdite economiche rilevanti per società di energia elettrica e telefonica, che hanno dovuto affrontare ingenti costi per gli interventi di messa in sicurezza delle tratte danneggiate e per il ripristino delle linee depredate. Solo la “Enel s.p.a.”, per l’anno 2013, ha stimato un danno economico pari a circa 20 milioni di euro. Nello scorso mese di marzo, in ben due occasioni, un intero quartiere della città di Niscemi (Cl) era rimasta per alcuni giorni priva di approvvigionamento di acqua potabile a causa del furto del rame contenuto nei tralicci che assicurano il servizio idrico.
Il grave quadro sin qui delineato ha peraltro indotto il Ministro dell’Interno Angelino Alfano a convocare, nello scorso mese di luglio, un vertice istituzionale ad Agrigento per fare il punto sulla problematica.
Proprio in ragione dei complessi risvolti economici, sociali e di pubblica sicurezza sottesi al reato in questione il legislatore ha provveduto ad introdurre un’apposita aggravante “di specie” inserendo il nr. 7 bis all’art. 625 c.p. con il d.l. nr. 93 del 14.08.2013 convertito nella legge nr. 15.10.2013: la norma infatti prevede un innalzamento della pena ed è volta a garantire la tutela delle esigenze della collettività che vengono soddisfatte attraverso la prestazione di servizi di primaria importanza.
L’attività d’indagine avviata dai carabinieri di Caltanissetta è nata dalla necessità di individuare non solo gli autori dei furti di rame, ma anche di risalire alla catena di successiva lavorazione, smistamento e reimpiego del metallo, al centro di un florido e remunerativo mercato parallelo illegale, attraverso il quale le organizzazioni criminali hanno individuato nuove forme di guadagno. L’analisi ed il monitoraggio investigativo ha condotto i carabinieri ad individuare i siti di raccolta del rame rubato a Messina, focalizzando l’attenzione su due ditte di raccolta e smaltimento di metalli, la “Messina metalli” e la “Metal rottami s.p.a.” che, dopo una prima fase di stoccaggio, provvedevano a trasferire il metallo verso altre aziende presenti sul “continente” per la successiva fusione e reintroduzione nel mercato legale. In particolare, dalle indagini dei militari è emerso che la ditta “Messina metalli” ora “Fratelli Di Blasi Ecofeme” con sede in via don blasco nr. 20 gestita dai fratelli Alberto Di Blasi, Antonio Di Blasi e Luciano Di Blasi, acquistato il materiale di provenienza furtiva, lo conferiva a sua volta alla ditta “Metal rottami” s.r.l., con sede a Venetico Marina, facente capo alla titolare Lucia Spadaro.
Da qui il rame, grazie alla collaborazione della ditta di trasporti “Schepis”, veniva trasportato prevalentemente presso una terza ditta ,la “Ecoacciai s.p.a”, con sede a Pontedera (Pi): i servizi di osservazione e pedinamento hanno consentito ai carabinieri di documentare come la ditta “Metal rottami” di Venetico, alimentata dalla “Messina metalli”, abbia organizzato con rilevante costanza spedizioni di ingenti quantitativi di rame di provenienza furtiva attraverso gli autoarticolati della “Schepis-trasporti”. fino a quando, lo scorso 27 agosto, i militari hanno deciso di pedinare proprio uno di quei camion che, carico fino all’inverosimile di cavi di rame, è partito dalla “Messina metalli” di via Don Blasco: giunto all’ingresso della “Metal rottami” di Venetico (Me), ha scaricato le matasse di rame che, a distanza di qualche ora, sono state caricate, unitamente ad un altro consistente quantitativo di rame, su un rimorchio della “Schepis-trasporti” e ricoperte con un telone. A quel punto, mentre i carabinieri continuavano a filmare le operazioni, la motrice con il prezioso carico ha lasciato la ditta, dirigendosi verso il porto di Messina, ove è stata imbarcata sul traghetto per Salerno. Ivi giunto, il mezzo pesante si è diretto verso nord, raggiungendo la ditta “Ecoacciai spa” di Pontedera, al cui interno è scattato il blitz dei carabinieri, che hanno proceduto al sequestro del camion e del carico, rinvenendo circa 30.000 chili di cavi di rame riconducibili alla linea elettrica, per un valore complessivo di 200.000 euro.
A seguito di tali risultanze investigative, la procura di Messina ha richiesto ed ottenuto l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Alberto Di Blasi, 27enne, Antonino Di Blasi, 31nne, e Luciano Di Blasi, 30enne, gestori di fatto della “Fratelli di Blasi ecofeme” con sede in via Don Blasco, tutti gravati da precedenti di polizia, nonché per Lucia Spadaro, 38enne, responsabile della “Metal rottami s.r.l.” di Venetico.
I carabinieri del comando provinciale di Caltanissetta, coadiuvati dai militari del comando provinciale di Messina e di Pisa, hanno eseguito le ordinanze di custodia cautelare in carcere, notificando a ciascuno degli indagati l’avviso di garanzia ed hanno inoltre provveduto a sequestrare le aree, i capannoni e le attrezzature poste all’interno delle due ditte di Messina, mentre hanno perquisito la sede della “Ecoacciai” di Pontedera (Pi).
Nei confronti di tutti e quattro i soggetti coinvolti è stata contestata l’associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio del rame ex artt. 416, 81, 110 e 648bis c.p. e, dopo gli accertamenti di rito ed il fotosegnalamento, gli arrestati sono stati condotti presso la casa circondariale di Messina, dove rimarranno a disposizione dell’autorità giudiziaria.