E’ il novantaquattrenne Andrea Lo Presti, originario del centro tirrenico di Barcellona Pozzo di Gotto, ma che nella cittadina dell’Alcantara, dove continua a risiedere, ha esercitato per trent’anni la sua professione, dirigendo, tra l’altro, quell’autentica fonte di ricchezza che era il “glorioso” mattatoio comunale. Ripercorriamo con lui quasi un secolo di storia, locale e non
Il decano dei medici veterinari di Messina e provincia abita in un’elegante villetta immersa nel verde, al confine tra il Comune di Francavilla di Sicilia e quello etneo di Castiglione (esattamente nel lembo di territorio di quest’ultimo denominato “contrada Marca”). E’ il dottor Andrea Lo Presti, che nonostante le sue novantaquattro primavere si mostra ancora lucido ed arzillo, al punto da mettersi quotidianamente al volante della sua autovettura per andare a fare shopping a Francavilla, cittadina nella quale per trent’anni (quando Usl, Asl ed Asp erano ancora di là da venire) ha esercitato con dedizione e spirito di servizio l’attività di veterinario comunale, particolarmente impegnativa in un paese che, nei suoi “momenti d’oro”, è stato anche sede di un impianto di macellazione.
Nato nel 1920 nel popoloso centro tirrenico messinese di Barcellona Pozzo di Gotto da una famiglia di affermati industriali delle botti, Andrea Lo Presti nutre sin da piccolo la passione per gli animali. Una volta diplomatosi al locale liceo classico non esita, quindi, ad iscriversi alla Facoltà di Veterinaria dell’Università di Messina (il cui primo biennio era allora uguale a quello della Facoltà di Medicina). Ha la fortuna di ritrovarsi per maestri autentici luminari del settore, come i professori Pietro Stazzi, antesignano dell’Igiene Veterinaria, ed Adelmo Mirri, primo direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia. Specializzatosi in quella particolare branca denominata “Buiatria” (ossia lo studio delle malattie dei bovini), il dottor Lo Presti è, negli Anni Cinquanta, un pioniere della fecondazione artificiale dei bovini e dell’anestesia epiturale al midollo spinale, che evita alla bestia eccessivi dolori. In considerazione della sua eccelsa professionalità, viene anche chiamato a far parte, come membro esterno, delle commissioni per gli esami di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di veterinario.
Nei luoghi dei suoi anni dell’infanzia e giovanili, il dottor Lo Presti era ben inserito socialmente, come si evince dalle sue frequentazioni degli ambienti mondani e dei “vip” dell’epoca a Barcellona e dintorni, come il blasonato Conte Picone, cui il generale Badoglio soleva affidare la figlia durante le vacanze estive, ed il poeta Bartolo Cattafi. Ma il destino ha voluto che, giunto quasi alla soglia dei quarant’anni, il resto della sua vita dovesse avere una nuova “location” alquanto distante dal suo territorio d’origine, benché ricadente nell’ambito della stessa provincia.
Sta di fatto che per Francavilla di Sicilia, dove ha lavorato e continua a vivere da ben oltre mezzo secolo, questo veterinario “venuto da lontano” costituisce una preziosa memoria storica, cui ci siamo rivolti anche per ripercorrere una particolare pagina del glorioso e non tanto lontano passato della cittadina dell’Alcantara, strettamente legata proprio all’attività professionale di Andrea Lo Presti.
Gentilmente accompagnati dai figli Peppuccio e Luigi, che insieme alla badante Gabriela Quibush lo seguono amorevolmente nonostante sia pienamente autosufficiente, ci siamo dunque recati nell’accogliente dimora del vegliardo professionista in pensione per rivolgergli alcune domande.
– Dottor Lo Presti, com’è che dalla zona tirrenica del Messinese è approdato a Francavilla di Sicilia?
«Nel 1947 iniziai a lavorare dalle mie parti (ossia nei Comuni di Brolo, Ficarra e Sinagra), dove sarei dovuto rimanere di ruolo come veterinario comunale. Ma per uno dei soliti “giochetti politici”, quel posto mi venne soffiato. Nel frattempo fu bandito un pubblico concorso cui partecipai con successo ottenendo l’assegnazione al Comune di Francavilla di Sicilia, dove m’insediai nel luglio del 1957 per poi andare in pensione trent’anni dopo, ossia nel 1987. Anche se provengo da un’altra area territoriale della provincia di Messina, Francavilla è diventato il mio paese effettivo: è qui, tra l’altro, che con la mia compianta moglie Carolina Todaro (nobildonna di Gioiosa Marea che sposai nel 1951) ho messo al mondo quattro figli (il funzionario comunale Peppuccio, il funzionario dell’Agenzia delle Entrate di Giarre Luigi, il geometra Nino ed il dirigente di “Volvo Italia” Salvatore)».
– Che ricordi conserva della sua lunga esperienza professionale a Francavilla di Sicilia?
«Ricordi bellissimi. Erano anni in cui la zootecnia e le conseguenti attività di macellazione costituivano il perno, assieme all’agricoltura, della fiorente economia locale, oggi purtroppo in stato di profonda crisi. Basti pensare che in paese operavano ben dodici macellerie, e che dal mattatoio comunale, di cui ero il direttore ed a cui facevano riferimento anche i vicini centri di Motta Camastra, Castiglione, Gaggi, Graniti, Mojo, Malvagna e Roccella, passavano ogni anno migliaia di capi di bestiame, e ciò procurava al Comune di Francavilla entrate economiche non indifferenti. Rovistando tra i documenti che ancora conservo, ho trovato, ad esempio, un registro del 1980 dal quale risulta che in tale anno furono macellati 4791 agnelli e capretti, 1439 bovini, 1096 suini e 1040 ovini e caprini. Al macello francavillese ero molto legato, al punto che, facendo leva sul mio personale rapporto d’amicizia con l’allora assessore regionale alla Sanità, Carmelo Santalco, feci ottenere al Comune un finanziamento di dieci milioni di lire per poterlo ristrutturare. Oggi quel “glorioso” mattatoio non c’è più in quanto ha dovuto chiudere i battenti negli Anni Novanta non essendo conforme alle nuove normative europee: è stato questo l’ennesimo colpo di grazia subito dall’economia locale. Di quel trentennio di lavoro a Francavilla ho poi tanti bei ricordi di tipo strettamente personale. Come quando venivo chiamato nelle case ogni qualvolta si ammazzava un maiale. O l’esaltante gratificazione che provai quella mattina che mi trovavo in Piazza Annunziata e sentii un signore di passaggio chiedere al titolare di un bar, il quale peraltro non aveva notato la mia presenza nei paraggi, dove si potesse trovare della buona carne; la risposta fu la seguente: “Può andare tranquillamente in qualsiasi macelleria perché qui a Francavilla abbiamo un veterinario che garantisce a tutti i macellai carni di qualità”. E poi lo splendido e quasi paterno rapporto che instaurai con gli allora giovanissimi colleghi, oggi professionisti affermati, dei centri vicini (i dottori Cataldo, Bambara, Valerioti, ecc.) i quali si rivolgevano a me per attingere alla mia esperienza».
– Com’è cambiato, da allora ad oggi, il mestiere del veterinario?
«Ritengo sia cambiato in peggio. Oggi l’allevatore può recarsi liberamente nelle farmacie ad acquistare le medicine per i suoi animali, mentre ai miei tempi doveva rivolgersi al veterinario, con tutte le garanzie del caso, sia per l’animale che per l’essere umano, che poi di quell’animale si sarebbe cibato».
– Data la sua veneranda età, avrà sicuramente vissuto il dramma della Seconda Guerra Mondiale…
«Non in prima persona. Vero è che nel 1942, dopo aver conseguito la laurea, venni arruolato come ufficiale di Cavalleria, ma poi Mussolini, tramite un apposito editto, esonerò medici, farmacisti ed anche noi veterinari dal prendere parte alle operazioni belliche, reputando più utile che restassimo nei rispettivi territori a svolgere il nostro lavoro-missione. Ma a proposito di questa particolare pagina di storia, mi diverto ancora a ricordare il goffo tentativo intrapreso dal sottoscritto e da mio padre affinché potessi evitare la leva militare. Ancora non si sapeva nulla dell’esonero che poi avrebbe disposto il Duce e, quindi, tentammo la solita carta della “raccomandazione”. Muniti di tre grosse pezze di formaggio da dieci chili ciascuna, io e papà partimmo in treno alla volta di Milano per implorare la mia dispensa dalla leva nientepopodimeno che all’allora Ministro dell’Interno del Regno d’Italia, Luigi Federzoni. Quest’ultimo ci ricevette, ma ci disse che non avrebbe potuto esaudire la nostra richiesta, rifiutandosi al contempo di accettare le pezze di formaggio che gli avevamo portato per ingraziarcelo. Imboccammo, dunque, la via del ritorno con quel carico alquanto ingombrante di cui avremmo tanto voluto disfarci. Aguzzando l’ingegno, pensammo di tentare di barattare quei formaggi con della merce meno onerosa da trasportare. L’idea che ci venne fu a dir poco “geniale”, e si potrebbe sintetizzare con uno spiritoso gioco di parole: delle pezze in cambio di… stoffe. Arrivati a Legnano ci recammo quindi presso una fiorente industria tessile, i cui titolari accettarono ben volentieri la nostra proposta, dandoci come corrispettivo dei tessuti pregiatissimi, che poi a nostra volta rivendemmo. Ricordo pure che il prosieguo del viaggio per tornare in Sicilia fu alquanto tribolato; a Villa San Giovanni, in particolare, rischiammo di cadere sotto i colpi di un bombardamento inglese».
– Qual è il segreto della sua longevità?
«L’attività fisica unita ad un’alimentazione sana. Riguardo alla prima, vivo ancora “di rendita” perché a quelli della mia generazione la imponeva il regime fascista affinché potesse contare su di un popolo di persone aitanti, eventualmente in grado di andare a combattere. Per quanto mi riguarda, ho praticato la corsa e, nel 1936, ho anche sfilato in camicia nera ai Fori Imperiali davanti a Mussolini. Adesso mi piace stare all’aria aperta a coltivare il mio orticello di casa. Dal punto di vista alimentare non sono certo un vegetariano, ma di carne ne mangio poca in quanto, alla luce delle mie cognizioni ed esperienze professionali, so benissimo che oggi la maggior parte di essa viene importata dalla Francia, dove gli animali vengono imbottiti di ormoni, letali alla salute dell’uomo. Accompagno, inoltre, i miei pasti con non più di mezzo bicchiere di vino. Ma ritengo che oltre al fisico si debba tenere in forma anche l’intelletto: ogni giorno, dunque, dedico diverse ore alla lettura di più quotidiani e settimanali nonché di libri di storia. Ed ancora oggi sono in grado di parlare, scrivere e tradurre in latino e greco».
Rodolfo Amodeo
FOTO: il dott. Lo Presti ed un somigliantissimo ritratto che gli è stato dedicato, nel giardino della sua abitazione ed in due foto d’epoca che lo ritraggono da bambino ed insieme alla moglie