Intervista esclusiva alla grande attrice siciliana, vedova del compianto regista Giovanni Cutrufelli e partner sulle scene dei “mostri sacri” dello spettacolo nazionale, la quale ha di recente dato alle stampe, per i tipi della “Brancato-Mondadori”, un coinvolgente volume sull’intensa e travagliata storia d’amore tra la “Divina” Maria Callas ed il magnate greco Aristotele Onassis
Una villa alle pendici dell’Etna si è rivelata ancora una volta formidabile fonte d’ispirazione per chi, dopo un’esistenza intensamente trascorsa sui palcoscenici e sotto i riflettori, ha deciso di fare di essa il proprio “buen retiro”. Stavolta è il caso di Gigliola Reyna, poliedrica attrice, cantante e coreografa siciliana, universalmente considerata una delle più sublimi interpreti del repertorio pirandelliano (e non solo), la quale nella sua tranquilla residenza del Comune etneo di Mascalucia ha recentemente dato vita alla sua opera prima letteraria, intitolata “Madame” ed incentrata sull’intensa, ma travagliata, storia d’amore tra il grande soprano greco Maria Callas ed il ricchissimo armatore suo conterraneo Aristotele Onassis.
Il volume, che è già stato ufficialmente presentato qualche sera fa presso la Libreria “Mondadori” di Catania, si fregia dell’autorevole postfazione del prof. Cesare Orselli, musicologo di fama mondiale, il quale ha, tra l’altro, scritto che «nei tre atti di cui si compone il lavoro, l’autrice rende omaggio ad una “visione” indelebile della sua infanzia ed al suo primo incontro con l’opera lirica. Siamo tuttavia in presenza di una pièce in cui il mondo dell’opera vive in un sottofondo soft, per lasciare spazio ad una vicenda fortemente e dolorosamente umana, narrata con un linguaggio dai toni incisivi e pungenti, ma colloquiali».
Abbiamo preso spunto dall’esordio letterario di Gigliola Reyna per rivolgere alcune domande a questa autentica “signora della scena”, lanciata dal compianto regista ed attore messinese, ma taorminese d’adozione, Giovanni Cutrufelli, il quale ne divenne il compagno di vita. Prima di conoscerlo e (nel 1974) sposarlo, la Reyna aveva calcato i palcoscenici in veste di presentatrice e cantante, ma sarà grazie al marito che avrà modo di recitare al fianco di autentici “mostri sacri” del teatro e del cinema italiano, i quali ne apprezzeranno le eccelse doti interpretative.
Negli ultimi anni Gigliola Reyna ha recitato, tra l’altro, nel film “Johnny Stecchino” di Roberto Benigni, in due episodi della popolarissima fiction televisiva “Il Commissario Montalbano” e nella soap cinese “Love in Sicily”.
– Gentile signora Reyna, con la sua “Madame” la casa editrice Brancato-Mondadori ha inaugurato un nuovo filone, in quanto si è in presenza di un libro-copione teatrale in tre atti. Ciò significa che questo suo scritto si presta sin da subito, senza trasposizione alcuna, ad essere rappresentato sulle scene?
«Certamente: è un testo che comincia e finisce con una disamina psicologica dei personaggi ed i miei ricordi, mentre la parte centrale è un dialogo pressante, continuo e costante, arricchito da didascalie, dal bozzetto-scena da me disegnato e dalle note di scenografia e regia. Ed Ercole Tringale, curatore della parte musicale del libro nonché presidente della “Compagnia Sicilia del Teatro Nazionale”, fondata da mio marito Giovanni Cutrufelli, ha deciso di mettere in scena “Madame” con la mia regia».
– Cosa si trova in “Madame” di ciò che non si sapeva ancora della relazione sentimentale tra la Callas ed Onassis?
«A mio avviso i giornali dell’epoca non raccontarono interamente questa storia, limitandosi a metterne in risalto solo l’aspetto “eclatante”. La novità del mio libro sta nell’approfondimento dei personaggi e del come i fatti siano accaduti. Mi sono, in pratica, interrogata sul perché la Callas, con il mondo ai suoi piedi, si fosse innamorata follemente di Onassis e sul perché quest’ultimo, pur potendo conquistare qualsiasi donna volesse, si fosse invaghito della cosiddetta “Divina”. Alla fine del libro c’è una ipotesi-rivelazione che, credo, farà molto riflettere».
– Lei è stata in qualche modo testimone di questa “love story” o si è basata su notizie apprese da altre fonti?
«La Callas l’ho conosciuta, ma non sono stata testimone del suo rapporto con Onassis. Mi sono, quindi, basata sugli articoli di stampa e sui cinegiornali d’epoca della “Settimana Incom”, chiedendomi sempre il “perché” di determinati comportamenti. Per il resto, ogni pomeriggio dalle ore 17.00 alle ore 20.00 e per due mesi, mi sono chiusa nel mio studio, immerso nel verde e nel silenzio della mia villa ai piedi dell’Etna, per salire sullo yacht “Christina” e volare a Parigi ed a Milano, vivendo la vita delle persone che animano questo libro: loro mi suggerivano nell’orecchio e nella mente lo svolgersi dei fatti ed i dialoghi. Ed è stata l’esperienza più bella della mia vita. Sono certa che “Madame” regalerà ai lettori delle sensazioni speciali».
– Nel corso della sua esaltante e variegata carriera lei ha lavorato accanto ad autentici “giganti” della scena. Può accennarci a qualche aneddoto sui suoi rapporti con alcuni di questi personaggi?
«Mi piace ricordare Roberto Benigni, il quale mi chiamò per “Johnny Stecchino” poco dopo la sua apparizione in una popolare trasmissione televisiva di Raffaella Carrà, dove aveva palpeggiato quest’ultima sino a quasi denudarla davanti alla telecamere. Ero, dunque, “terrorizzata” dal doverlo incontrare, avendo già messo in conto di dargli uno schiaffo nel momento in cui mi avesse messo una mano anche solo sulla spalla. Intanto ogni mattina la produzione mi chiamava per firmare il contratto ed io, con scuse varie, per dieci giorni mi rifiutai. Mi decisi a firmarlo l’ultimo giorno di lavorazione, ma devo dire che Benigni si comportò da vero “gentleman”: in realtà è una persona squisita, educata e con un grande cuore. A Mario Scaccia mi lega, invece, il ricordo del mio debutto, a trentadue anni, come attrice teatrale con la regia di mio marito Giovanni Cutrufelli. Eravamo al Teatro Greco di Taormina e recitavo la parte della figliastra nei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello. Essendo il mio esordio in teatro e, per giunta, in una prima mondiale “en plein air”, ero letteralmente atterrita. Ma durante le prove, benché probabilmente un po’ scocciato di dover recitare con una novellina, Scaccia, da gran signore, mi lanciava sguardi di incoraggiamento. Solo quando gli applausi a scena aperta destinati a me superarono i suoi e quando migliaia di persone accesero i loro accendini, questo grande maestro del teatro si rese conto di avere avuto accanto una vera attrice».
– Lei ha recitato sia in teatro che davanti a macchine da presa e telecamere. Preferisce il palcoscenico o lo schermo?
«Preferisco indubbiamente il teatro perché è lì che c’è un interscambio diretto e quasi personale con il pubblico. Ma mi affascina molto anche il cinema, il cui lavoro preparatorio è per noi attori di gran lunga più breve rispetto alle estenuanti prove per poter portare in scena una rappresentazione teatrale».
– Nella sua biografia si legge (ma lo si evince già dal suo aristocratico charme) che lei proviene da una famiglia dell’alta borghesia catanese (con il padre avvocato e docente universitario di Diritto Penale). Come hanno accolto i suoi parenti la sua “trasgressiva” (almeno per allora) decisione di avventurarsi nel mondo dello spettacolo?
«In realtà ho perso mio padre quando avevo solo nove anni. Comunque i miei fratelli si sono vergognati di avere una sorella attrice e non mi hanno risparmiato frecciate ed ironie. Ma, per fortuna, mia madre era dalla mia parte perché diceva che “non si possono tarpare le ali ad un artista”. Mia sorella, invece, inizialmente aveva nei miei confronti un atteggiamento ostile, ma poi mi ha molto ammirata».
– Su di lei hanno scritto in maniera estremamente positiva illustri ed esigentissimi critici. E qualcuno ha anche affermato che Gigliola Reyna avrebbe avuto tutti i numeri per assurgere a notorietà nazionale, se non fosse stato per il suo pressoché indissolubile legame con la Sicilia e con il suo compagno di vita, ossia il grande Giovanni Cutrufelli. Ha qualche rimpianto al riguardo?
«Di questi legami non mi pentirò mai, e c’è un perché. Ho avuto modo di conoscere l’ambiente romano dello spettacolo, con i suoi agenti (sia veri che imbroglioni) e le feste mondane a casa di questo o quell’altro “vip”. Ebbene: non mi reputo “santa” né moralista, ma ritengo umiliante per una persona di talento dover passare per l’“anticamera” di certi personaggi e cadere nelle trappole di chi ti promette un programma in tv o di farti diventare Eleonora Duse o Sarah Bernhardt. Duse o Bernhardt si nasce, non si diventa. Per quanto mi riguarda, ho avuto un maestro immenso in Giovanni Cutrufelli ed ho preferito continuare ad apprendere da lui sino alla fine dei suoi giorni per diventare quella che sono oggi: non un “nome”, ma una vera e completa attrice, scrittrice e regista. Per me va bene così».
– La Sicilia, ed in particolare Taormina, stanno onorando per come meriterebbe la memoria di suo marito, che possiamo considerare l’“inventore” di “Taormina Arte”?
«Purtroppo hanno dimenticato Giovanni Cutrufelli sia la Sicilia e sia, quel che è più grave, la sua amata Taormina, malgrado tutti quelli che oggi gestiscono colossali manifestazioni al Teatro Antico, occupando i relativi posti di potere, a mio marito debbano tutto. Basti pensare che il palcoscenico di quella location unica al mondo è stato interamente restaurato da mio suocero, l’On. Ing. Saro Cutrufelli, affinché suo figlio Giovanni potesse portare a Taormina attori del calibro di Alberto Lupo, Rossella Falk, Paola Pitagora ed altri conclamati professionisti dello spettacolo. E questi illustri attori che lavorarono con lui non hanno mai dimenticato Giovanni, così come quelli con i quali mi sento di tanto in tanto, ossia Glauco Mauri, Leo Gullotta e Renzo Giovampietro, ed altri ancora, tra cui i compianti Salvo Randone e Vittorio Gassman. E proprio Gassman, durante una nostra performance al Palazzo dei Congressi di Taormina, ebbe a dirmi: “Meno male che ci sarà Cutrufelli a ricordarsi di noi quando non ci saremo più”. Ed, invece, Cutrufelli se ne è andato anche lui, troppo presto…».
– Da addetta ai lavori, come vede la situazione dei teatri e degli enti culturali in genere, ultimamente in profondo stato di sofferenza a causa della notevole riduzione delle risorse finanziare pubbliche ad essi destinati?
«Una volta, in presenza di attori “cani” si soleva commentare: “Braccia rubate all’agricoltura”. Oggi questa stessa considerazione io la farei al cospetto di tutti coloro che stanno praticando, e nel modo più crudele, una vera e propria “eutanasia” all’Arte ed alla Cultura. A questi importantissimi comparti lo Stato toglie i finanziamenti non per fare, come ci vorrebbe, una severa selezione tra qualità e cialtroneria, bensì per alimentarsi esso stesso in maniera sproporzionata, negando ad artisti ed intellettuali la possibilità di “dare”, ed a chi li ama di “ricevere”. E poi ci si lamenta che in Italia non si legge più: ma un moribondo che boccheggia agonizzante… non ci vede neanche più!».
– Attualmente sta trasmettendo la sua professionalità insegnando in delle “master classes” per giovani aspiranti attori e cantanti (una di queste dovrebbe tenersi prossimamente nel Comune messinese di Graniti su iniziativa del tenore Giovanni Concolino D’Amore il quale, con il competente contributo di Gigliola Reyna, insegnerà agli allievi l’importanza della recitazione e della teatralità nel melodramma, NDR). Qual è la prima “lezione”, ossia il primo consiglio, che impartisce a chi desidera calcare i palcoscenici?
«Rispondo con un aneddoto. Cutrufelli, avendo deciso di mettere in scena il “Pilade” di Pier Paolo Pasolini e saputo da Laura Betti che il compianto regista ed intellettuale stava girando ad Anzio il film “Medea” con Maria Callas, si recò nella suddetta località laziale per incontrarlo. Faceva un caldo insopportabile e la Callas era in piedi su una nave trainata con corde per dare l’impressione della lentezza della navigazione. Le riprese di questa scena durarono dall’alba al tramonto, ma quella impareggiabile artista, nei pesantissimi abiti di Medea, rifiutò di farsi sostituire da una “comoda” controfigura e stette in piedi sotto il sole impavida, senza un lamento e senza un cedimento. Tutto questo per dire, o meglio “consigliare”, ai giovani aspiranti attori che bisogna essere disposti a qualunque sacrificio se si vuole intraprendere, con probabilità di successo, una carriera artistica: occorrono volontà e determinazione e la capacità di saper “assorbire” come una spugna. Ma anche, e prima di tutto, avere la fortuna di trovare il maestro giusto».
Rodolfo Amodeo
FOTO: Gigliola Reyna con sullo sfondo Onassis e la Callas ed in altre foto scattatele durante la sua carriera (tra cui una con Ornella Muti) ed in occasione della recente presentazione di “Madame” alla Libreria Mondadori di Catania