Il ricordo della memoria comunista: Giovanni Mangano

Era il 23 febbraio del 2012 quando il compagno Mangano, così solevano chiamarlo tutti, ci ha lasciati all’età di 80. Una vita passata a lottare per l’ideale comunista nel quale ha creduto sino l’ultimo sospiro. Un mese prima si decretava la fine di Liberazione su carta stampata, il giornale che lui tanto amava. Ricordo ancora quando venne in “sezione” – così lui chiamava sempre il circolo del Prc “Berlinguer” di Fiumefreddo – e ci chiese di avviare una sottoscrizione per mantenere il giornale di un partito decimato giorno dopo giorno. Ricordo bene le parole: “Ora che Liberazione chiude, dobbiamo mobilitarci per risollevarla… Per ora leggerò solo Il Fatto”.

Passarono mesi e poi Liberazione lanciò una sottoscrizione che riuscì, nella polemica, a riportare online la testata: ormai Giovanni non c’era più.

Non seppe mai rinunciare a quella falce e a quel martello simbolo di resistenza, di lavoro e di umiltà. Alla fine del grande Partito Comunista passò a Rifondazione e da lì sino alla morte. Forse colpa dell’educazione datagli dal partito, o di quella nobile “scuola di partito” di cui oggi sentiamo la mancanza. Ma che colpa e colpa: non è una colpa amare qualcosa in cui si crede. Il compagno Mangano era riconoscente al partito Comunista per la sua alfabetizzazione.

Raccontava con orgoglio che prima era riuscito ad essere consigliere a Calatabiano e poi il primo assessore ai lavori pubblici di Fiumefreddo di Sicilia: un bel traguardo lo definiva lui, per un analfabeta. E poi in testa alle rivolte dei braccianti; per ricordarlo aveva una foto, sbiadita quasi, di cui andava fiero.

La sua tenacia non l’ha mai abbandonato nemmeno negli ultimi anni quando sceglie di essere in minoranza nel direttivo del partito. Tanti i miei ricordi di Mangano che tornava spesso ad essere la memoria storica della sinistra italiana e non solo di quella. Lo potevi incontrare al bar in centro a canticchiare “Bandiera Rossa” o “l’Internazionale” e, un attimo dopo, a scontrarsi su temi politici di grande interesse, e se perdeva la pazienza aveva il suo perché.

I modi erano spesso rozzi di chi ha imparato a fare politica dal basso, ma efficaci e sinceri. Al suo funerale quasi tutti i compagni eravamo presenti e con il consenso dei figli accompagnammo gli ultimi tratti di quel giorno con le storiche trombe acustiche, con cui facevamo i comizi, a ritmo di Bella Ciao, Bandiera Rossa e l’Internazionale; magari non compiacendo qualcuno dei presenti ma certi che nel cuore di Giovanni quello potesse essere il suo ultimo giorno più bello per le vie del paese che aveva tanto amato.

Concetto Barone