Sono stato a Cannes, al Festival del Cinema. Ho utilizzato il mio status (tesserino) di giornalista atipico per entrare: ho cercato di imitare Ulisse con la sua “pecora” per vedere in faccia Polifemo, ossia la grande macchina organizzativa del Festival del Cinema, giunto alla 68ª edizione, come gli anni di chi scrive. Sono entrato per fare il sociologo e non il giornalista: osservare ed analizzare. All’interno, uno spettacolo nello spettacolo, tutto, formalmente, impeccabile. All’esterno la macchina sfocia nel “red carpet” per offrire al pubblico la visione dei protagonisti dei film in concorso e sono autentici momenti di estasi per la gente. Nel corso della manifestazione (13/23 maggio) sono stati presentati, nelle varie sale a disposizione, tutti i film in concorso e non. Come si sa i film italiani, in concorso, erano ben tre ed almeno uno “Youth-La giovinezza” di Paolo Sorrentino, era accreditato dai giornali locali, di quasi sicura vittoria. La previsione è svanita domenica (24) sera sul palco dell’auditorium Lumière, portandosi via anche le speranze degli altri due italiani, Nanni Moretti con “ Mia Madre” e Matteo Garrone con “Il racconto dei racconti”.
Per fortuna questi film da me visti, i primi due in particolare, sono “leggibili” e le discipline sociologiche sono interessate solo alle manifestazioni artistiche che contengono un messaggio “leggibile” in negativo o positivo per la gente. In questo senso si può dire, tranquillamente, che i film italiani sono degli ottimi film, la cui produzione, direzione, interpretazione, e quanto altro, risultano di ottima qualità ed anche il marketing è di alto livello. Non dimentichiamo, come ha affermato Sorrentino, che la ragione principale per cui si viene al Festival è il mercato e questo non solo per alleviare le bruciature della sconfitta.
Ha vinto il 38enne debuttante ungherese Làszio Nemes, come saprete, con “Il figlio di Saul”. Detto che i 3 film italiani sono belli, posso dire la mia? Lo spero, e lo faccio da sociologo. I 3 film italiani esprimono sicuramente qualità in tutto, specie Youth, ma sono film tristi e perfino diseducativi. Cerco di spiegarmi e di non allarmare il lettore. Sono storie nel cui epilogo sono contenuti suicidi e morte, la cui tristezza è strettamente legata al nostro modello di vita occidentale, in cui l’esaltazione per il proprio narcisismo, del proprio edonismo, del proprio utilitarismo, vanno, inevitabilmente, a sfociare in vite vuote, esistenze tristi e povere di contenuti, in cui il suicidio, sia fisico che mentale diventa prevalente e quasi inevitabile.
Il pensiero occidentale, speriamo decada presto, è totalmente pregno dell’attenzione per l’avere per poi scoprire che in fondo si diventa sempre più poveri. Le storie più belle ed il pensiero orientale è ricco di questo, hanno attenzioni verso il dare, verso la donazione di sé (amore), verso una utilità della propria opera per gli altri. Il Cinema che non riesce a fare questa attenzione diventa, nella sostanza, diseducativo e resta schiavo della cultura del mercato, del vendere, di una mercificazione, ed è per questo che l’industria cinematografica va a Cannes, come ad altri Festival, per allargare la vendita dei films all’estero. Al Festival, come in ogni Festival, c’è lotta di mercato e sottotraccia c’è sempre del marcio, è bene dirlo. Se a questo si aggiunge una grossa ingenuità commessa a Cannes dalla produzione dei tre film italiani in concorso il quadro è completo, con relativa frittata inclusa. Cosa è successo? Presto detto. La nostra squadra italiana, più passavano i giorni e più sembrava destinata a grandi risultati. La sicumera è stata troppa: il giovedì i cast dei 3 film si sono fatti fotografare tutti e tre insieme: una specie di festeggiamento anticipato. Ora a cominciare da Sorrentino (“non voleva essere un gesto trionfalistico, solo un modo di farci gli auguri”) cercano di giustificarsi ma la frittata era stata già fatta, ed ha finito per pesare anche l’assenza in giuria di componenti italiani. Chi aveva interesse ad equivocare ha trovato dell’ottimo pane. L’Italia ora impari dalla Francia e se possibile porti film meno tristi e più educativi.
Salvo Marino