Giarre rende omaggio ai suoi uomini illustri

Un armonico coacervo di dissertazioni improntate alla celebrazione dei quattro personaggi più illustri della storia di Giarre. E’ stata questa la peculiarità che ha connotato la giornata commemorativa in onore di quattro figure le quali, in virtù delle loro produzioni, sono assurte a patrimonio culturale della città di Giarre. La ricorrenza del bicentenario della predetta località, ha rappresentato il contesto ideale nel quale incardinare le esposizioni di studiosi da sempre protesi verso l’esigenza di divulgare il pensiero ed il vissuto di personaggi che hanno impreziosito il tessuto culturale giarrese.

Sullo sfondo dell’aula consiliare del Palazzo di Città di Giarre e alla presenza dei sindaci dell’ex Contea di Mascali, tra cui il sindaco di Giarre Roberto Bonaccorsi, un parterre di qualificati relatori composto dalla prof. Anna Castiglione, dal prof Nicolò Mineo, dal prof. Carmelo Torrisi e dall’avvocato Sidro Barbagallo Coco, ha sviscerato i meriti dei quattro uomini più rappresentativi di Giarre: il poeta Giuseppe Macherione, lo storico Rosario Romeo, il filosofo Michele Federico Sciacca ed il giornalista Alfio Russo.

La presenza di una nutrita rappresentanza del Liceo Classico “Michele Amari”, del Liceo Scientifico “Leonardo”, degli istituti del primo istituto comprensivo (Manzoni e Ungaretti) di Giarre e del plesso “Macherione” afferente al terzo istituto comprensivo della medesima località, ha arricchito un evento sviluppatosi all’insegna dell’illustrazione delle principali caratteristiche dei quattro personaggi.

Macherione

Dopo l’apertura dei lavori a cura dell’avvocato Paolo Patanè, la docente Anna Castiglione ha dipinto la figura del poeta Giuseppe Macherione. La docente Castiglione ha descritto il poeta Macherione come un uomo già maturo alla giovane età di 18 anni. A precludere a quest’ultimo la possibilità di ritagliarsi uno spazio in qualità di cronista del microcosmo della politica, fu la tisi, malattia a causa della quale sapeva che sarebbe morto. Gli storici dell’Ottocento lo considerarono un “Monstrum” (prodigio). Le sue posizioni erano, come ha asserito la docente Castiglione, monarchico-cattoliche e moderate. L’amore per lo studio lo accompagnò sempre. Nel poeta, Macherione vedeva il profeta del destino di un popolo. Determinante nei suoi studi fu la lettura di Gioberti, il quale auspicava la nascita di una federazione di stati, uniti sotto la presidenza del Papa, in quanto accomunati dalla fede cristiana.

Macherione pertanto porrà i temi patriottici su un piano metafisico e dottrinale. Quando la guerra contro l’Austria era in atto, le condizioni fisiche non gli consentirono di combattere in quanto era già malato. Ciò significa che anche le famiglie appartenenti all’alta borghesia, nella cui categoria egli rientrava, furono interessate da tale “morbo”. La morte del fratello e della madre segnarono molto il carattere di Macherione. Macherione fondò a Catania il giornale “Unità e indipendenza” e si unì alle truppe garibaldine sulla via per Palermo e sebbene le sue condizioni fisiche non gli consentirono di imbracciare le armi, non esitò ad agire da giornalista politico. A Palermo vi erano delle frizioni tra coloro i quali erano a favore dell’annessione della Sicilia al resto d’Italia e coloro i quali si opponevano. Macherione narrò con scrupolo la guerra dei tre giorni che infuriava a Palermo nel maggio del 1860 e che vedeva i borboni contrapposti ai garibaldini. Macherione scrisse su diverse testate giornalistiche tra le quali “ Il rinnovamento”, “La monarchia nazionale” e l’opuscolo “Italia e Roma”. Macherione stimava Cavour e non a caso Cavour lo chiamava il “Peppino siciliano”.

In Macherione, interessi politici e impegno civile prevarranno sull’aspetto poetico. Macherione pertanto scrisse da giornalista impegnato. La sua fu scrittura di azione. Lo scrittore Luigi Capuana gli fu leale ed affettuoso amico. Macherione, assiduo assertore dell’unità d’Italia, ebbe piena consapevolezza dei problemi che il regno appena unito avrebbe affrontato nel secolo successivo. Come ha esplicitato la docente Castiglione, secondo Macherione l’istruzione, il nutrimento ed il vestimento erano bisogni per i quali la scienza doveva battersi al fine del loro soddisfacimento. Pertanto Macherione non esitò a parlare della necessità di ottemperare al principio della ripartizione delle risorse. Macherione scrisse sul giornale “La monarchia nazionale.”. In esso parlò dello stato di arretratezza e di abbrutimento della Sicilia, appena affrancatasi dalla sovranità borbonica. Macherione pertanto non esitò a sottolineare il divario tra Nord e Sud.

I temi del poeta patriota Macherione sono dunque di grande attualità. Oltre ad essere poeta della patria, Macherione fu dunque giornalista politico coraggioso e impegnato. Encomiabile fu il suo viaggio fino a Torino per assistere alla prima seduta del Parlamento Italiano in una città che nel febbraio del 1861 era capitale d’Italia. Per raggiungere la capitale si imbarcò su un vaporetto che lo condusse fino a Genova e da lì si spostò verso Torino. La morte all’età di soli 21 anni non gli diede però il tempo di sviluppare l’atteggiamento che si era prefissato. Macherione tra l’altro vide chiaro anche nel fatto che sarebbe morto.

Romeo

Dopo la trattazione curata dalla docente Anna Castiglione, a prendere la parola è stato il prof. Nicolò Mineo, il quale si è soffermato sulla figura di Rosario Romeo, esponente del partito repubblicano, morto nel 1987 all’età di 63 anni. Essendo stato troppo impegnato a scrivere e a studiare non si era preoccupato dei suoi problemi cardiaci. I ragazzini negli anni 80’ sapevano che Romeo e il professore Giarrizzo si incontravano a chiacchierare in piazza Dumo a Giarre per parlare dei loro studi. Sin da quattordicenne mostrava interesse per la figura dello storico Gioacchino Volpe. Mineo ha poi ribadito che non nascono grandi figure se attorno a loro non vi è una famiglia importante o una scuola di elevato profilo. All’epoca in cui egli decise di frequentare il liceo, questo tipo di scuola non esisteva a Giarre. Pertanto Romeo dovette condurre i suoi studi tra Acireale e Catania. Egli si iscrisse alla facoltà di “Scienze politiche”, che rappresentava una sezione della facoltà di giurisprudenza. Si distinse inoltre per aver difeso lo storico De Felice, accusato di revisionismo filo-fascista.

Nello storico liberale Romeo, fu sempre forte l’orientamento verso l’ambito della politica. Egli infatti desiderava studiare gli aspetti economici e politici della storia. Oltre a coltivare interessi di storia politica ed economica, si distinse per un particolare interesse verso i problemi della Sicilia. Negli anni 40’, che furono gli anni del bandito Giuliano, del separatismo e della strage di “Portella della Ginestra”, Rosario Romeo studiò il processo di unificazione dell’Italia che ebbe come atto determinante il Risorgimento. Maturò poi un interesse particolare per i problemi della Sicilia, asserendo che il separatismo fosse una idea stantìa ed inconciliabile con il concetto di progresso che invece, secondo Romeo, non poteva essere perseguito senza che la Sicilia rientrasse in una Italia unita e non frammentaria. Egli attribuì la ricchezza del Nord alla pressione fiscale sulle campagne del sud e al contenimento dei consumi. Romeo conobbe inoltre uno storico siciliano come Nino Valeri ed ottenne una borsa di studio dall’istituto italiano per gli studi storici. Preziosa nel suo cammino, fu la conoscenza, in terra napoletana, del direttore di tale istituto, ovvero Federico Chabod.

La tesi di laurea che Romeo presentò racchiudeva i contenuti della sua opera “Il risorgimento in Sicilia”. Tale lavoro stimolò il dibattito e rappresenta tutt’ora un’opera viva della quale gli storici discutono. Romeo insegnò storia all’università del “Magistero” di Messina e fu negli anni 60’ docente di storia moderna prima al Magistero a Roma e poi presso la facoltà di “Storia e Filosofia” della capitale. Romeo, secondo Mineo, non fu mai vicino a posizione estremistiche di sinistra. Egli fece delle scelte politiche di tipo liberale e radicale. Fu un uomo coraggioso e dal volto fermo e mostrò sempre costanza, sicurezza e decisione. Dopo “Il risorgimento in Italia”, la sua opera su Cavour fu definita un monumento.

Romeo scrisse inoltre molto di industria italiana. La sua linea, secondo Mineo fu quella di rivalutare l’idea di una forte e progressista borghesia nell’Ottocento. Romeo inoltre contestò l’idea della rivoluzione agraria fallita, sostenuta da Gramsci. Anzi. Romeo asserì che la linea borghese industriale fu la linea più positiva e giusta. La generazione di Romeo fu definita straordinaria. Non a caso, secondo Mineo, gli anni 40’ e 50’ produssero intelligenze di notevole rilievo.

Sciacca

Il vice Presidente della “Società di Storia Patria e Cultura” Carmelo Torrisi ha invece incentrato la sua trattazione sulla figura del filosofo Michele Federico Sciacca. Il prof. Carmelo Torrisi ha specificato che Sciacca è molto più conosciuto in Italia e all’estero che in Sicilia. In Italia, egli è stato ricordato alla fine degli anni 80’ al liceo classico “Michele Amari” di Giarre. Fu posta una lapide al numero civico 289 di Via Callipoli a Giarre per commemorarlo. Famosa fu la sua opera “La Clessidra”. Il padre di Michele Federico Sciacca fu un proprietario terriero. Egli vantava una proprietà nella zona cosiddetta dei “Paoli”, tra la frazione di San Giovanni Montebello e Sant’Alfio. La madre di Michele Federico Sciacca era la tipica padrona di casa devota al marito. Paolo, era invece il tuttofare di casa Sciacca: ovvero colui che in effetti governava la famiglia. Paolo era pertanto anche compagno di giochi di Michele Federico.

Michele Federico per l’appunto visse gli anni della fanciullezza tra Giarre e i “Paoli”. Nella contrada “Paoli” la famiglia aveva una vasta proprietà. Federico Sciacca dipingeva ciò che scriveva. I Paoli sono sempre rimasti nel suo cuore. Egli infatti li aveva nell’anima soprattutto quando descriveva il meriggio (mezzogiorno). Michele Federico descrisse la contraddittorietà dei siciliani. In Sicilia infatti, come sosteneva Michele Federico Sciacca, sono carnose le foglie secche e acri i frutti succosi. I giudizi passionali e sentimentali non furono mai misurati in lui. Il siciliano, come asseriva Sciacca (secondo quanto riferito da Torrisi), lavora di fantasia e di dialettica.

Michele Federico Sciacca, il quale era un filosofo di stampo rosminiano, considerava il filosofo Benedetto Croce borioso e superficiale. Lo affascinava invece il filosofo Giovanni Gentile, assertore dell’idealismo e promotore dell’istituto nazionale di cultura fascista. Michele Federico Sciacca non ebbe mai peli sulla lingua. Egli fu intollerante alla sudditanza e vocato all’insegnamento. Infatti, egli non potè mai fare a meno di comunicare con i giovani, poiché sentiva il dovere morale di fecondare gli spirito Egli fu vicino a quell’idealismo secondo cui l’essere è da ricondurre al pensiero. Rappresentò poi un momento importante nella sua esistenza il passaggio dall’immanentismo, secondo cui non esiste nulla al di là della realtà che conosciamo, allo spiritualismo. Leggendo Pascal, Michele Federico Sciacca pervenne allo spiritualismo cristiano. A questo spiritualismo pervenne anche attraverso le letture non filosofiche di Dostoevskij e di Pirandello.

Secondo Michele Federico Sciacca il problema del senso integrale della persona non può prescindere dal cristianesimo. In Pirandello, Sciacca individuò un immanentismo disincantato in Pirandello. Bisognava dunque secondo Michele Federico Sciacca costruire un ponte tra il pensiero e l’essere. Secondo Michele Federico Sciacca quindi non vi è incompatibilità tra ragione e fede. Sciacca dunque si era perduto per poi ritrovarsi. Fu il sacro monte di Domodossola a raccogliere le sue spoglie.

Russo

L’ultima dissertazione è stata affrontata dall’avvocato e giornalista Sidro Barbagallo Coco in merito al giornalista Alfio Russo. Egli morì all’età di 74 anni. Condusse studi classici per poi iscriversi alla facoltà di Medicina. I suoi studi in medicina finirono però per via di un amore contrastato. Alfio Russo scrisse per “Il secolo” e “L’epoca”. Poi, grazie alla sponsorizzazione di Galeazzo Ciano, genero di Mussolini, iniziò a lavorare per “La Stampa” di Torino. Alfio Russo fu inviato in Africa. Si recò infatti in Etiopia come inviato di guerra nel 1936. Poi andò nel fronte meridionale russo a condividere le difficoltà dei soldati italiani inviati in Russia al tempo della seconda guerra mondiale. In seguito, Alfio Russo fu inviato a Belgrado, dove svolse il ruolo di capo dell’ufficio di corrispondenza della stampa.

Nel 1943, Russo si dimise lasciando il quotidiano torinese, poiché si ritirò a Napoli dove scrisse un libro pubblicato nel 1944, dal titolo “Rivoluzione in Jugoslavia”. Dopo aver descritto le vicende dei Balcani tornò in Sicilia dove diventò responsabile del giornale “La Sicilia”. Successivamente diventò capo redattore del giornale “Risorgimento Liberale”. In seguito fu direttore dell’ufficio di corrispondenza di Parigi per conto del “Corriere della Sera”. Poi, nel 1953, fu direttore del quotidiano nazionale di Firenze “La Nazione”. Egli non fu un rivoluzionario del giornalismo ma un grande innovatore, perché guidato da una fantasia enorme. Capiva infatti cosa voleva il lettore. Dal 1961 al 1968, Alfio Russo fu direttore del “Corriere della Sera”. Spadolini succedette a Russo nel 1968. Nel 1961 fu scelto Alfio Russo perché era quello meno agganciato politicamente. Furono infatti concordi i proprietari del “Corriere della Sera”: ovvero la famiglia Crespi. L’obiettivo della famiglia Crespi era quello di contrastare il giornale “Il giorno”, ovvero il giornale antagonista del “Corriere della Sera”. Negli anni 60’ “Il giorno”, dietro cui si stagliava la figura di Enrico Mattei, andava per la maggiore. Con l’avvento di Alfio Russo però, il “Corriere della Sera” stracciò “Il Giorno” in materia di numero di copie.

Dopo dei dissapori all’interno del Corriere della Sera, Alfio Russo lasciò il predetto giornale. Egli poi si ritirò a Roma con la moglie Ada, la quale in seguito morì. Alfio Russo fu, come ha dichiarato il giornalista Sidro Barbagallo, oltre che editorialista del giornale “La Sicilia”, anche uno dei più grandi giornalisti del 900’. Alla fine della conferenza, i giovani studenti delle varie scuole hanno reso omaggio ai quattro personaggi più rappresentativi di Giarre.

Umberto Trovato