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Catania, lo “scacchiere mafioso” dopo l’operazione “Vicerè”. Come cambia la mafia sotto l’Etna

Catania, lo “scacchiere mafioso” dopo l’operazione “Vicerè”. Come cambia la mafia sotto l’Etna

Dall’avvio nel quartiere Canalicchio-Barriera, periferia nord di Catania, alla diffusione in tutta la provincia etnea con 13 gruppi: il clan Laudani si è radicato nel tempo, partendo da un rione di città, per espandersi in una vasta area del catanese. Di fatto, è ormai un clan storico, con un ruolo di esecutore spietato di “sentenze di morte”

Ma non solo: i Laudani significano anche infiltrazioni nell’economia, come testimoniato in modo lampante dalla vicenda dell’imprenditore della grande distribuzione Sebastiano Scuto. Il relativo processo è ancora in corso, ma già in sede di Cassazione è stata riconosciuta la mafiosità dell’imputato, proprio per i suoi legami con il clan.

Lo confermano gli investigatori e inquirenti dell’operazione “Vicerè” (clicca e leggi i dettagli Imponente blitz antimafia: decapitato clan Laudani, 109 arresti I NOMI LE FOTOVIDEO): “… Il clan “Laudani”, detto dei “mussi ‘i ficurinia”, è certamente – hanno scritto – una delle più ramificate e pericolose organizzazioni criminali operanti nel catanese, diretto dai componenti di un gruppo familiare facente capo al “patriarca” Sebastiano Laudani (90 anni), sottoposto con l’attuale ordinanza agli arresti domiciliari per ragioni di salute, che lo ha gestito, nel tempo, per il tramite dei suoi congiunti, tra i quali, in passato, il figlio Gaetano Laudani, ucciso nel 1992 e soprattutto, da ultimo, i nipoti Giuseppe Laudani e Alberto Caruso, entrambi personalmente educati dal nonno, fin dalla più tenera età, secondo le rigide regole dell’appartenenza mafiosa, dell’intimidazione e della violenza.

Storicamente caratterizzato da una autonomia criminale orgogliosamente rivendicata anche nei confronti di “Cosa Nostra” catanese, con la quale peraltro non ha disdegnato di stringere alleanze partecipando alle più sanguinose faide degli anni ottanta e novanta, e con saldi legami anche con la‘ndrangheta reggina, il clan Laudani si è contraddistinto, nei principali eventi storici della criminalità organizzata catanese, per la ferocia ed efferatezza dei suoi vertici, tanto da rendersi protagonista, nel tempo, di alcuni dei crimini considerati tra i più gravi verificatisi nella provincia di Catania negli ultimi decenni, quali l’attentato con autobomba con 30 chili di esplosivo alla caserma dei Carabinieri di Gravina di Catania del 18 settembre 1993, in cui rimasero feriti quattro militari, l’omicidio dell’agente di Polizia Penitenziaria Luigi Bodenza del 24 marzo 1994 e l’assassinio del noto avvocato penalista Serafino Famà, avvenuto il 9 novembre 1995.

Detta organizzazione criminale, sin dai primi anni ‘80, ha quindi raggiunto e consolidato una enorme forza di intimidazione, derivante dalla commissione di una lunga serie di omicidi (oltre cento) ed atti di violenza e minaccia, attraverso cui ha imposto la sua leadership in un’area tra le più ricche della provincia. Il denaro, provento delle attività illecite (estorsioni, usura, traffico di droga e rapine), veniva reinvestito in fiorenti attività economiche quali il commercio all’ingrosso di carni, acquisti di terreni (anche all’estero), imprese edili e commerciali. A riguardo sintomatica è la condanna di Scuto Sebastiano, titolare dell’importante catena di supermercati “Despar”, a 8 anni di reclusione per associazione di tipo mafioso per avere reinvestito nelle sue attività i proventi dell’organizzazione criminale.”

Ma com’è cambiata la mafia sotto l’Etna? Ci sono da tempo meno omicidi (negli anni ottanta-novanta la media era di cento morti ammazzatti all’anno), ma è sempre radicato il fenomeno estorsivo e usuraio, favorito certamente dalla crisi economica ma anche da una diffusa omertà. Le infiltrazioni nell’economia restano un dato che emerge da più indagini, a conferma di quanto sia ancora lunga la via di un reale cambiamento dalle nostre parti. Un ruolo predominante ha poi anche lo spaccio della droga, che, come riferito nella relazione della Corte d’Appello per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, colpisce in modo preoccupante tanti giovani.

“Il panorama della criminalità organizzata etnea è contraddistinto dalla presenza di Cosa nostra e di gruppi autonomi che, in certi casi, supportano la politica mafiosa, e in altri, confliggono in essa”; parole che arrivano dall’ultima relazione della Dia sulla criminalità organizzata sotto l’Etna.
E’ scritto nella relazione: “nella provincia di Catania la situazione della criminalità organizzata è estremamente complessa e tendenzialmente policentrica a causa dell’elevato grado di instabilità che da tempo caratterizza la maggior parte dei gruppi locali, specie quelli operanti nel capoluogo”.

Non solo: “gli schieramenti dei clan risultano pressoché invariati: da una parte il clan Santapaola-Ercolano, Mazzei e Laudani, dall’altra il clan Cappello- Bonaccorsi che sostanzialmente controlla (pur concedendo ampia autonomia) i reduci dei clan Sciuto, Pillera e Cursoti. Gli organigrammi interni delle varie consorterie hanno, invece risentito degli arresti eseguiti nel corso delle operazioni di polizia e si alimentano di nuovi “arruolamenti” tra le fasce giovani, attratte da facili guadagni. La rimunerazione degli illeciti traffici (soprattutto lo spaccio di stupefacenti) e opportuni contatti diplomatici per la soluzione di divergenze, favoriscono un certo equilibrio. Si tratta, comunque, di una pace armata vista la continua scoperta di arsenali di armi e munizionamento da guerra, nella disponibilità dei vari clan”.

Marco Benanti

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