Dal purgatorio all’inferno il passo è breve; così come breve è stato il salto dalle piazze dello spaccio e dell’estorsione paternesi alla cella del carcere per gli arrestati nell’ambito dell’operazione “The end” (13 in carcere più uno per il quale sono stati disposti i domiciliari).
Notte, quella di ieri, di sirene e lampeggianti a Paternò dove i Carabinieri del Comando Provinciale di Catania e dei reparti specializzati hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip del tribunale di Catania su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti del locale clan Assinnata affiliato alla famiglia catanese Santapaola.
Tutti accusati di associazione mafiosa, estorsione ed associazione finalizzata ai traffico e spaccio di sostanze stupefacenti per reati commessi dal 2012 al settembre del 2013.
Sostanzialmente le indagini hanno preso il via dopo la denuncia di estorsione, nel marzo del 2012, da parte di un imprenditore palermitano che si stava occupando della ristrutturazione di un immobile in zona Ardizzone; da qui l’accertamento di almeno altri tre casi di estorsione ai danni di altri due imprenditori e di un negozio di ottica. Ma gli affari della “famiglia” si basavano anche sul traffico e lo smercio di stupefacenti che per lo più avveniva in piazza Purgatorio, ma anche lungo le strade della città.
Un modus operandi che, oramai si sa, accomuna tutti i gruppi mafiosi, e non solo gli Assinnata: estorsione e droga su tutti, affari illeciti provenienti da ogni sorta di attività criminale per grandi guadagni atti a rimpinguare la “cassa comune” al fine di sostenere non solo le famiglie dei detenuti ma anche per i pagamenti degli “stipendi” dei vari affiliati.
Il tutto in una rete che dai clan locali conduce dritta dritta a quelli catanesi (basti pensare, tra le altre, all’ultima inchiesta di poco tempo fa: “I Vicerè”, che decapitò i Laudani e le famiglie a loro riconducibili nell’hinterland etneo).
Ma a far accapponare la pelle sono anche altri dettagli che emergono dalle intercettazioni dell’operazione “The end” e che mettono in risalto una sorta di venerazione del potere mafioso: “lui è il top del top”, questo diceva Giuseppe Parenti, uno degli affiliati del clan, in riferimento al proprio capo Salvatore Assinnata (destinatario del provvedimento eseguito ieri e che si trovava già in carcere).
Fu lui, 43enne, insieme al padre, Domenico Assinnata, a riorganizzare le fila del clan paternese storicamente facente capo a Giuseppe Alleruzzo; così come accertato nelle operazioni “Orsa Maggiore”, che nel 1993 per la prima volta individua i gruppi dell’hinterland catanese ricollegabili alla famiglia Santapaola, “Padrini” e “Fiori Bianchi” che hanno documentato l’operatività del clan sino all’aprile 2010).
Ma in un altro stralcio dell’intercettazione Parenti così parla di Salvatore Assinnata: “A Turi Assinnata no può mbrrugghiari mancu Dio”.
Un “boss”, insomma, considerato il top, quasi come una super star che neanche Dio può permettersi di prendere in giro.
Frasi che in questo caso son state pronunciate a Paternò ma che rimandano ad un pensiero troppo spesso condiviso ovunque e in quegli animi in cui, per i più disparati motivi, la “mala” trova terreno fertile: il potere mafioso che diventa come un dio.