Politica, Renzi a Catania: una mattinata fra “patti”, parole e contestazioni

In perfetto stile berlusconiano, è arrivato il premier e ha firmato il “patto per Catania”: 740 milioni di euro spendibili fino al 2020 per tante opere. Dicono che sia tutto vero: ci vuole molto coraggio –e magari un pizzico di ingenuità- per crederci.

Eppure, questo è stato il “clou” della mattinata del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, planato a Catania, dopo un viaggio travagliato e conseguenti attese sotto il teatro “Bellini”, uno dei tanti “volti” della crisi politica e culturale di una città senz’anima.

E in un contesto desolato e desolante come questo, come accadeva una volta, da un lato c’erano gli invitati alla cerimonia, una pletora di onorevoli, sindacalisti, imprenditori, amici del sindaco, consiglieri comunali e altra umanità, talora non proprio libera, come quei dipendenti comunali a cui –lo ha denunciato Matteo Iannitti di “Catania Bene Comune”- è arrivato un “sms” per l’evento. Saranno stati davvero liberi di venire o no?

E, dall’altro lato, c’era la Catania che addirittura contesta, la solita minoranza di sigle della sinistra diffusa.

Nei giorni antecedenti, non erano mancati “inviti alla moderazione”, perché a chi contesta, in questi “tempi democratici”, è talora consigliato di mantenere toni bassi, moderati, insomma. La democrazia dei mezzi toni? Sembra proprio così. Del resto, attorno al “Bellini” stamane c’era un dispiegamento di forze dell’ordine quasi da “blitz antimafia”: e in piazza non si poteva entrare. A parte gli invitati, si capisce. Ma cosa è accaduto?

Il “Patto per Catania” è stato solo una passerella politica. Valore di questo “documento” firmato come se fossimo nello studio tivvù di Bruno Vespa? Non esistendo ancora un’autorità autorizzata a rappresentare nel suo insieme la città metropolitana nessun atto può essere ufficialmente sottoscritto. Allora, è stato detto che è stato fatto come “autorità municipale”. Insomma, se non è zuppa è pan bagnato?

Ma non solo: l’arrivo del premier è stato accompagnato da continui cambiamenti di programma, in termini di orari e di “location” (come la chiamano gli “esperti”), con “amnesie” ed precisazioni su come accreditarsi e poi, poi…tanta tanta polizia.Ma la contestazione c’è stata lo stesso: contro Renzi, le sue politiche economiche e sociali, che ricordano tanto quelle di Berlusconi, contro tanti –forse anche- troppi controlli delle forze dell’ordine. A sentire Matteo Iannitti –ed è la pura verità- quello che andava in scena al “Bellini” era una sorta di “convention di Mpa e Forza Italia”, visto i volti numerosi un tempo nel centrodestra, finiti in questi “tempi democratici” nel centrosinistra.

Ma tornando ai soldi, “promessi” dal Governo?  Tra le opere da realizzare ci sono anche la rifunzionalizzazione della rete museale, il PalaNesima, la zona industriale, il teatro Moncada di Librino, gli orti sociali urbani e tanti altri interventi. Ma per Renzi il “set cinematografico”, pardon la platea di Catania, è servita pee ricordare i suoi – lui ne è convinto- tanti successi, sull’occupazione come sulla ricerca. Per poi arrivare ai suoi slogan d’occasione: “la rassegnazione prenda la strada dell’esilio”, ha gridato. E di seguito, in riferimento all’Italia “che urla e guarda il bicchiere mezzo vuoto”.

Fuori, c’è il vuoto, la contestazione è finita, Catania riprende il solito tran-tran: alla prossima “scena da un film”. Sperando che non sia tragedia.

 

Marco Benanti