Antonio Nicoloso, l’amico del Vulcano

Il Parco Botanico e Geologico delle Gole dell’Alcantara ha ospitato una mostra fotografica sull’eccezionale impresa di colui che viene unanimemente considerato la più grande guida dell’Etna. Nel 1974 ebbe il coraggio di calarsi nel cratere centrale sfidando temperature infernali, assenza d’ossigeno e rischi vari. Bella storia di una passione nata in famiglia ed iniziata a soli cinque anni d’età

Nelle appena trascorse settimane estive, un doveroso omaggio postumo è stato tributato dal Parco Botanico e Geologico delle Gole dell’Alcantara, ubicato nel territorio di Motta Camastra, ad una personalità unanimemente considerata la più grande guida dell’Etna, della quale non si “accontentò” di scalare le ripide pareti esterne in quanto il 24 settembre del 1974 Antonio Nicoloso si rese protagonista di quella memorabile ardimentosa impresa che lo vide calarsi all’interno del cratere centrale.

Così, per oltre un mese, gli ariosi spazi del rinomato sito turistico gestito dalla famiglia Vaccaro hanno ospitato una mostra fotografica sull’eroico personaggio, curata da Giuseppe Lanzafame. Tra le immagini esposte, anche quelle riproducenti le pagine che i giornali nazionali nonché la stampa estera dedicarono alla temeraria discesa di Nicoloso nelle viscere del Vulcano, da qualcuno paragonata addirittura all’approdo dell’uomo sulla Luna.

Antonio Nicoloso, deceduto alcuni anni fa, nacque a Nicolosi nel 1933 da una famiglia di guide che avevano accompagnato sull’Etna anche eminenti personalità, quali capi di Stato, naturalisti ed, ovviamente, vulcanologi. Ma Antonio non faceva distinzioni di sorta: per lui un anonimo turista non era da meno di un cosiddetto “vip” in quanto entrambi meritavano allo stesso modo di conoscere e possibilmente amare il Vulcano.

Era un uomo semplice e di poche parole, ma apprezzato in tutto il mondo (in particolare in Francia e Svizzera), anche perché, oltre che della “sua” Etna, si è occupato dei principali vulcani sparsi per il pianeta (Momotombo, Masaya, Kilauea, Usu, Nyiragongo, ecc.), che andava personalmente a studiare organizzando delle apposite spedizioni.

Si meritò persino la stima e l’amicizia dell’eminente professore francese Haround Tazieff, padre della vulcanologia contemporanea, anche lui incredulo quando Nicoloso lo mise al corrente della sua intenzione di visitare la “pancia” dell’Etna.

«Non ci credeva nessuno – soleva al riguardo raccontare la coraggiosissima guida – che l’avrei fatto davvero: i colleghi mi deridevano e mi prendevano per pazzo, e lo stesso Tazieff non pensava mi potessi spingere a tanto. In realtà, “a Muntagna” (così viene chiamata l’Etna in gergo dialettale siciliano, ndr) non è cattiva: bisogna solo rispettarla, ed averne paura senza lasciarsi prendere dal panico. Io sull’Etna sono nato e sull’Etna ho vissuto tutta la mia vita. Capii qual era la mia strada quando, ad appena cinque anni d’età, mio padre mi legò con una piccola corda e mi portò con sé insieme a mio fratello Orazio, di quattro anni più grande di me, in una spedizione al cratere centrale a dorso di mulo. Arrivati là ci affacciammo nella bocca fumante del cratere centrale, e mio padre mi disse: “U vidisti? Ora no vidi ‘cchiù!” (“Lo hai visto? Ora non lo vedrai più!”)».

Per l’Etna Antonio Nicoloso nutriva un’autentica venerazione, derivante non solo dai nostalgici ricordi della sua infanzia, ma anche dalla profonda sua conoscenza degli altri crateri esistenti al mondo.

«Io – spiegava – sono stato a vedere di persona tutti i principali vulcani della Terra (in Hawai, Centro America, Giappone, Africa, ecc.), ma nessuno è come il nostro, che ha i caratteri di tutti gli altri messi insieme. L’Etna, in particolare, ha lave non molto fluide, cosicché in trecentomila anni ha innalzato una montagna di più di tremila metri di altezza. Questo perché la sua lava si solidifica e si accumula. Nel 2002, ad esempio, in un solo mese di attività eruttiva ha fatto più di trecento metri di altezza. Io la paragono ad un bambino che cresce fino a diventare un adulto gigante. Se prendiamo, invece, i vulcani delle Hawai, essi non alzano il loro livello in quanto le loro lave sono molto liquide, e tutto si risolve in delle fontane di magma incandescente».

Tornando all’eccezionale impresa del 1974, è significativo quanto scritto dal fotoreporter francese Olivier Massart per il popolare settimanale nazionale “Gente”. «Quando sono arrivato a Nicolosi, il paesino dove abita Antonio – si legge in quel servizio giornalistico di quarantadue anni fa –, mi sono subito reso conto che l’impresa non sarebbe stata delle più facili. I siciliani lo guardavano come se fosse impazzito, e le stesse guide ci ripetevano che nessuno avrebbe potuto sopravvivere al caldo, alla mancanza d’ossigeno, alle esalazioni ed alle “bombe” vulcaniche. Ma ormai Antonio era deciso. E la prima ispezione al cratere non fu certo rincuorante: eravamo al cospetto di una bocca di 800 metri di diametro e di circa 3 chilometri di circonferenza, scossa perennemente da boati e fumate maleodoranti, uno strapiombo di 150 metri ed, in fondo, il cuore del vulcano, con le sue fumarole bollenti e le sue micidiali “bombe” di lava solidificata. Ma come scendere? Sarebbero state necessarie le scale in acciaio degli alpinisti, ma non ce n’erano. Si decise di ripiegare su quelle in legno, ormai consunte, che un tempo servivano per la manutenzione dell’ultimo tratto della funivia che sale sull’Etna. Antonio Nicoloso, indossando un casco, una tuta in amianto bianca ed una maschera, si è così spinto sino a 30 metri dalla bocca, con passi incerti per evitare i quasi 1000 gradi delle fumarole e schivare le “bombe”. Tutto ciò mi ha fatto pensare alla passeggiata lunare di Armstrong ed Aldrin, ma qui il paesaggio è infernale e non c’è un filo di ossigeno: Antonio ha veramente rischiato la vita. Avvolto dal gas ed ormai allo stremo delle forze, è risalito aggrappandosi alla scala in legno utilizzata per l’impresa. Ha dato a tutti una splendida lezione di coraggio».

La recente mostra fotografica alle Gole dell’Alcantara ha raccontato questa straordinaria pagina di storia etnea alle migliaia di turisti di tutto il mondo che, in questa estate 2016, hanno affollato il gettonatissimo sito naturalistico, peraltro “figlio” del vulcano tanto amato da Antonio Nicoloso in quanto quei caratteristici e colossali canyon di basalto lavico attraversati dal fiume ebbero ad originarsi proprio da un’eruzione dell’Etna.

Rodolfo Amodeo

 

FOTO: da sinistra Antonio Nicoloso con la tuta indossata per calarsi nel cratere centrale dell’Etna, durante la discesa ed in un primo piano negli ultimi anni della sua vita