Celebrata anche a Giarre, nella chiesa Gesù Lavoratore, la 40° Giornata Nazionale per la vita. Incentrata sul tema “Il Vangelo della Vita, gioia per il mondo”, la serata, organizzata, in piena sintonia con l’affermazione del Santo Padre, Papa Francesco, “L’Amore dà sempre vita”, dai fondatori del CAV (Centro di Aiuto alla Vita) di Giarre, Cesare Scuderi e Ginevra Mazzola ha offerto ai presenti, diversi spunti di preghiera e riflessione. Dopo la Santa Messa qualificati relatori hanno posto all’attenzione dei presenti temi dal significato profondo quale la vita, la fede, la speranza.
Il pomeriggio si apre con l’adorazione eucaristica, a seguire il Rosario della vita, quindi la celebrazione eucaristica presieduta da sua Eccellenza Monsignor Antonino Raspanti, vescovo della Diocesi di Acireale e vicepresidente della CEI. Dalla preghiera alla meditazione per i presenti il passo è breve. Ad offrire il primo spunto di meditazione, dopo la lettura del Vangelo, il Vescovo, che ha delineato il compito del cristiano, chiamato ad interloquire con Dio per placare il suo “dolore dell’anima”, generato dagli avvenimenti terreni, alla pari di Giobbe che, seppure messo a dura prova nella vita, rimase fortemente ancorato alla fede, fedele a Dio che tutto può. Da qui, l’esortazione del celebrante, agli uomini e alle donne di oggi affinché affidino con fiducia la loro vita nelle mani di Dio senza mai perdere la speranza.
Finita la Santa Messa, il presidente del CAV, Cesare Scuderi, ha introdotto la conferenza sul tema “Eutanasia di Stato” presentando gli ospiti: Aldo Rocco Vitale, dottore di Ricerca in Teoria generale del Diritto Europeo, segretario dell’Unione Giuristi Cattolici di Catania, e la professoressa Assuntina Morresi del Dipartimento di Chimica, Biologia e Biotecnologia dell’Università di Perugia, componente del Comitato Nazionale per la Bioetica, autrice del libro “Charlie Gard. Eutanasia di Stato”.
Attenta e dettagliata l’autrice nel presentare la storia del bimbo inglese, nato il 4 agosto del 2016 e morto a soli undici mesi (29/07/2017) a seguito di una sentenza di Stato, seguita a ben tre gradi di giudizio contro i genitori (colpevoli di voler curare il proprio figlio), dove i giudici dell’Alta Corte del Regno Unito stabilivano che il piccolo paziente doveva morire. “Troppo grave, per essere curato”, scrivevano, infatti, i togati, su parere dei medici dell’ospedale di Londra, decisi a staccare il respiratore “nell’interesse del paziente”. Colpito da una malattia rara, che provoca gravissimi danni al sistema nervoso e muscolare, (sedici i casi noti in tutto il mondo), il piccolo Charlie, per i medici londinesi, avendo i giorni contati ed una pessima qualità della vita doveva morire. A nulla valgono le suppliche dei genitori, una giovane coppia inglese (papà postino, mamma assistente di ragazzi disabili), decisa a portare avanti la sua battaglia, anche attraverso la Rete, che, inaspettatamente, trova la solidarietà di tantissime persone.
Il mondo intero si mobilita. Tutti vengono scossi dal caso “Charlie”, perfino il Santo Padre, a Roma. E, in breve, i genitori del piccolo, nonostante i giudizi pendenti in Tribunale, proseguono la battaglia, fino a quando non ricevono una lettere dai medici dell’ospedale “Bambin Gesù”. di Roma che si dicono disponibili a prestare le loro cure al bambino. Contemporaneamente i medici londinesi decidono che Charlie venga visitato da uno specialista americano, ma la situazione è sempre più grave e i genitori del bambino danno il consenso a staccare il respiratore…
“Perché tanto clamore sulla vicenda” è la domanda che, alla fine della conferenza, risuona tra i presenti. Perché tutto il mondo si è sentito parte attiva di un problema tanto grave? “La risposta non è difficile – spiega la relatrice –. Se, infatti, per la prima volta al mondo i medici hanno staccato la spina su richiesta dei genitori al giovanissimo Tony Bland (ferito gravemente durante una partita del Liverpool il 15 aprile del 1989), quello di Charlie è il primo caso al mondo dove, la decisione di togliere la vita ad un essere umano viene presa dai giudici di un Tribunale di Stato contro il parere dei familiari, convinti di poter giudicare e decidere sulla qualità della vita della degli altri. Di contro, la decisione dei genitori di Andrew Devaney, sopravvissuto, invece, alla strage inglese, che pur rimasto gravemente ferito, seguito dalla famiglia, determinata ad offrirgli una migliore qualità di vita, vive oggi su una sedia a rotelle circondato dall’affetto dei suoi cari. Tutto questo – aggiunge ancora la docente – perché dove c’è vita c’è speranza e la speranza non muore mai”.
Rosalba Azzarelli