La geniale fotografa di Messina è stata nei giorni scorsi nella frazione taorminese di Trappitello per parlare dell’originale e suggestivo genere denominato “Scatto Mentale” (o “Mental Snap”) da lei ideato ed attraverso il quale produce disegni e scritte puntando l’obiettivo verso una qualsiasi fonte luminosa in ambiente buio. Autorevoli studiosi ritengono si tratti di una forma di intelligenza fuori dal comune
La creatività è spesso oggetto di studio da parte della scienza, che s’interroga sui processi cerebrali che portano l’artista a produrre le sue opere. E, sia pure rarissime volte, è la stessa creatività a costituire un fenomeno effettivamente scientifico, come nel caso, unico al mondo, di un’artista siciliana dalle doti eccezionali, così come hanno recentemente ammesso persino alcuni luminari della scienza oculistica, per i quali si è in presenza di “una persona avente gli occhi nella mente”, come se i suoi geni fossero modificati o esistessero delle connessioni interneuronali tra i suoi emisferi cerebrali .
A Messina, infatti, Elisabetta Pandolfino, puntando l’obiettivo della sua macchina fotografica verso una fonte luminosa riesce a realizzare disegni, parole e scritte, come se tra le mani, anziché una fotocamera, avesse un pennello o una penna. La fotografa professionista peloritana ha denominato questa originalissima tecnica da lei ideata “Scatto Mentale” o, visto che sta destando interesse anche in ambito internazionale, “Mental Snap”.
Nei giorni scorsi Elisabetta Pandolfino è stata ospite di un noto ritrovo della popolosa frazione taorminese di Trappitello per parlare di questa sua particolare arte e prodursi in alcune performance dimostrative. Ne abbiamo approfittato per intervistarla.
– Signora Pandolfino, com’è nata la sua passione per la fotografia, sfociata negli ultimi anni in questa originale e suggestiva tecnica dello “Scatto Mentale” o “Mental Snap”?
«Sin da piccola ho coltivato diverse inclinazioni artistiche, tra cui anche la musica e, tanto per rimanere in tema, la fotografia. Lo “Scatto Mentale” è nato nel 2014, quando una sera d’estate, osservando la luna e pensando alla persona amata, dissi tra me e me: “Magari potessi scrivere il tuo nome con la luna…“. Ebbi quindi l’intuizione di muovere la macchina fotografica dinnanzi al corpo celeste “scrivendo” il nome della persona alla quale avevo indirizzato i miei pensieri. Due anni dopo autoprodussi il libro “A due scatti da te…”, le cui pagine contengono alcuni di questi miei primi esperimenti».
– Lei realizza scritte e disegni fotografando una semplice fonte luminosa fissa, quale può essere la luna, una lampadina o la fiammella di una candela o di un accendino. Ma come riesce ad arrivare a tali strabilianti risultati?
«Intanto non esiste un tempo prestabilito perché lo scatto può durare pochi attimi oppure più minuti (come nel caso del “Pentagramma dell’Amore”, dove lo scatto è durato un minuto e trentotto secondi), durante i quali nel mirino della macchina fotografica non vedo nulla. In quegli istanti mi concentro al massimo per muovere con le mani la fotocamera in maniera tale che la scia luminosa artificialmente prodotta dalla sorgente di luce possa esprimere ciò che desidero (una parola, un oggetto, un volto umano, ecc.). La principale abilità sta nel saper far rientrare il tutto nell’area del fotogramma, altrimenti una parte della scritta o della figura rischia di restare fuori dall’inquadratura».
– Per ottenere tali risultati occorrono fotocamere speciali e particolari accorgimenti tecnici?
«No: basta una normale fotocamera professionale, non importa se digitale o con pellicola. Per il resto, gli accorgimenti tecnici consistono nel calcolare l’intensità della fonte luminosa e la distanza da quest’ultima per utilizzare l’obiettivo adeguato, nel conoscere l’area del fotogramma e nell’impostare i tempi di posa e di otturazione. L’importante è che intorno alla luce ci sia il buio, che consente ad ogni sorgente luminosa di esprimere tutta la propria “anima”. Da precisare che tutto ciò che produco non è minimamente soggetto ad alcun intervento di fotoritocco».
– Altri fotografi si sono cimentati nel rapporto con la luce. Ma quali sono le differenze tra il suo “Mental Snap” e certi generi preesistenti, come il “Light Painting”, che qualcuno tende erroneamente a confondere con la sua arte?
«Purtroppo, senza voler peccare di immodestia, non tutti gli “addetti ai lavori” hanno ancora capito che la mia arte è un qualcosa di unico e che non ha precedenti sin dall’origine della fotografia, risalente al lontano 1839. Il “Light Painting”, ad esempio, consiste nel fotografare da un treppiedi (quindi da fermi) una fonte luminosa che si muove, mentre il cosiddetto “I.C.M.” (Intentional Camera Movement), consente di produrre particolari effetti scattando foto in maniera “mossa” dinnanzi ad un qualsivoglia soggetto. Col mio “Scatto Mentale”, invece, è il fotografo a “muoversi” dinnanzi ad una sorgente di luce per produrre una parola, un messaggio, un disegno e quant’altro la mente desidera».
– Qual è l’opera di cui va più fiera?
«Sicuramente le “Barche a Vela”, che dedicai alla persona amata in quella notte di luna piena di quattro anni fa in cui ho avuto modo di sperimentare questa nuova tecnica fotografica. Nel 2017 conobbi un’altra persona che mi fece innamorare con la sua dolcezza e la sua eleganza, ma quando d’improvviso fuggì via mi rifugiai nella mia arte, e per caso, davanti alla luce di una candela, sono stata ispirata da quel sentimento che non era ancora andato via da me. Capii allora di poter realizzare il mio “Scatto Mentale” ovunque mi trovassi e con qualsivoglia sorgente luminosa. Tra le mie tante opere espressive mi piace menzionare anche “Abbracciami Ancora”, che è una dedica d’amore alla persona che conobbi nel 2017 e che divenne la mia “musa ispiratrice” per comporre nuove immagini, molte delle quali esprimono un pensiero poetico».
– Si sente appagata dalla sua arte?
«Devo dire che mi ha dato e continua a darmi esaltanti gratificazioni, come l’essere stata invitata a prestigiose manifestazioni quali il congresso scientifico “Birth” a Venezia, il “Taormina Film Festival” ed il “Mare Festival” di Salina. In tali occasioni i miei scatti sono stati sinceramente apprezzati da personaggi del calibro di Rupert Everett, Simona Izzo, Ricky Tognazzi, Silvia Bizio, Martha De Laurentis, ecc. Purtroppo, però, gli ambienti accademici ufficiali e gli organi di stampa nazionali continuano ad ignorare questo mio genere espressivo unico al mondo che, come si accennava prima, viene erroneamente confuso con altri tipi di “fotografia della luce”, che nulla hanno a che vedere con quanto sperimentato dalla sottoscritta. Per quanto mi riguarda, ritengo di aver dato un contributo innovativo alla storia ed all’evoluzione della fotografia, e non solo. Questa, infatti, è anche scienza in quanto “manovro” la luce in un momento (quello dello scatto) in cui non la vedo. Spero che “qualcuno”, prima o poi, se ne accorga…».
Rodolfo Amodeo