Il premio nazionale di giornalismo “Giuseppe Fava – Niente altro che la verità. Scritture e immagini contro le mafie” edizione 2019, istituito nel 2007 dalla Fondazione a lui intitolata, è stato assegnato dalla Giuria, composta da Carlo Lucarelli, Giovanni Tizian e Giulio Cavalli, al giornalista Giovanni Bellu (foto di copertina) con la seguente motivazione:”A Giovanni Bellu che dell’amore per la sua terra e della civiltà del mare ha fatto memoria e mestiere”.
Bellu è autore del romanzo-reportage “I fantasmi di Portopalo”, storia del naufragio del Natale 1996 nel mar Mediterraneo davanti alle coste siciliane con quasi trecento vittime che nessuno voleva raccontare e dal quale è stata tratta la fiction con Beppe Fiorello andata in onda su Rai 1.
Proprio Bellu è stato fondatore dell’Associazione “Carta di Roma”, sorta nel 2011 per vigilare sul corretto linguaggio dei media sui temi legati all’immigrazione, già inviato del giornale “La Repubblica” e condirettore de “L’Unità”, nel 2012 è stato fondatore e direttore di “SardiniaPost”, giornale on line, dal quale nell’ottobre dello scorso anno si è dimesso a seguito della modifica della linea politica della testata operata dall’editore.
La Fondazione Giuseppe Fava, nata l’8 aprile 2002 per volontà della famiglia, ma soprattutto per quella della figlia Elena, scomparsa nel 2015, ha come obiettivi la raccolta e l’archiviazione di tutti i suoi scritti, dagli articoli di giornale alle inchieste, ai libri, ai testi teatrali, la ripubblicazione dei principali libri di Fava, l’educazione antimafia nelle scuole, la promozione di attività culturali che coinvolgano i giovani, sollecitandoli a raccontare la “loro Sicilia” ed oggi è retta da un Consiglio di Amministrazione guidato da Maria Teresa Ciancio.
Nel corso degli anni il premio è andato a Giovanni Tizian, Livio Abbate, Maurizio Chierici, Attilio Bolzoni, Sigfrido Ranucci, Carlo Lucarelli, Roberto Morrione, Fabrizio Gatti, al gruppo di giornalisti calabresi minacciati Lucio Musolino, Giuseppe Baldessarro, Ferdinando Piccolo, Michele Albanese, Giuseppe Baglivo e Antonio Nastasi, nel 2018 venne premiata alla memoria la giornalista maltese Dafne Caruana Galizia, trucidata il 16 ottobre 2017 davanti la propria casa con una bomba posta nella sua auto.
Dopo il commosso omaggio di tante associazioni, fra cui l’Assostampa di Catania con i componenti del direttivo provinciale, giunte sul posto dopo un corteo promosso da “I Siciliani” partito da piazza Roma e che si è lentamente snodato per viale Regina Margherita, piazza Santa Maria di Gesù e viale Mario Rapisardi fino a raggiungere il luogo dove è posta la lapide posta in via dello Stadio che oggi, invece, ne porta il nome a ricordo.
La manifestazione di consegna del premio, a 35 anni di distanza, si è svolta al teatro Giovanni Verga, proprio in quel teatro dove, quella sera del 5 gennaio 1984, Giuseppe Fava si stava recando per prendere la nipote impegnata nella recita della commedia “Pensaci, Giacomino!” di Luigi Pirandello.
La cerimonia è stata caratterizzata per espressa volontà della Fondazione dal dono di un violino, al posto della corona d’alloro, da parte del Comune di Catania, rappresentato dall’assessora alla cultura Barbara Mirabella, all’Istituto Comprensivo Malerba, mentre la stessa Fondazione ha donato una viola al Liceo Musicale Turrisi Colonna.
Dopo il saluto di Laura Sicilliano, direttrice del Teatro Stabile, il dibattito, condotto da Mario Barresi, ha avuto come tema: “Antimafia 35 anni dopo: dire, fare o sembrare” con la partecipazione del figlio Claudio Fava, dell’ex magistrato Armando Spataro, di don Luigi Ciotti e dello stesso Giovanni Bellu.
Claudio Fava si è soffermato lungamente sulla attività posta in essere dalla Commissione regionale Antimafia dopo il notevole impulso derivante dalla nuova legge regionale n. 3 del 28 febbraio 2018 che ne allargato le competenze con la vigilanza non solo sul fenomeno della mafia ma anche della corruzione in Sicilia, svelando quei meccanismi di potere emersi dall’indagine in corso sul caso “Montante” e sugli stretti legami col sistema politico al quale dettava i comportamenti.
L’ex magistrato e catanese di origine, Armando Spataro, ha sottolineato come “la solitudine è lo stato naturale del magistrato” senza nascondere che qualcuno dei colleghi si lascia troppo spesso andare a comunicazioni enfatiche. Molto appassionato l’intervento di don Luigi Ciotti di Libera che ha difeso a spada tratta l’attività di quasi 1.600 associazioni, dicendo che “è un delitto mettere sullo stesso piano il bene e il male” e svelando come in tempi non sospetti aveva avvertito l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi a palazzo Chigi della inopportunità di mettere alla guida della Agenzia dei beni confiscati proprio Antonello Montante, ribadendo che “l’antimafia è un problema di coscienza, non una carta d’identità”.
Nel suo intervento Giovanni Bellu ha ricordato le regole deontologiche dei giornalisti, “la ricerca della verità sostanziale dei fatti”, ed ha accennato come il mondo dei giornali sia in una fase recessiva ed in mano “a chi ha i soldi” e in questi tempi si sta creando “una egemonia della cultura della paura”.
Domenico Pirracchio