All’Università di Catania lezioni di antimafia

Si avvia alla conclusione il ciclo di “lezioni magistrali” sull’antimafia, condotti dalla professoressa Simona Laudani, docente di storia all’Università di Catania, e tenute nell’ampio Auditorium intitolato a Giancarlo De Carlo, il venerdì.

Il 5 aprile scorso, a causa di sopravvenuti impegni personali da parte di uno dei relatori, Isaia Sales, è stato anticipato l’incontro con le varie associazioni che in modo particolare sono impegnate, a diversi livelli, contro il fenomeno mafioso.

Di fronte ad un attento e numeroso uditorio, soprattutto giovani studenti, ai quali vengono assegnati dei crediti per la loro partecipazione, la professoressa Laudani ha aperto i lavori facendo proiettare un lungo filmato-intervista a Letizia Battaglia, fotografa di professione, la quale ha raccontato la sua lunga esperienza a contatto con l’amara stagione di Palermo “dei morti ammazzati anche eccellenti”, della sua presenza nei momenti successivi all’omicidio del presidente della Regione, Pier Santi Mattarella, della sua partecipazione alla vita politica (i miei anni più belli, Ii definisce) come assessore al Comune di Palermo ed impegnata a far rivivere proprio le periferie degradate del capoluogo siciliano, mentre quelli vissuti da deputata al parlamento italiano li ha definiti “i più brutti della mia vita” per il fare niente e con le decisioni tutte prese dagli altri. E con un amaro sfogo ha concluso: “Se avessimo avuto politici più onesti!”.

Subito dopo è intervenuto il giornalista Antonio Ortoleva, dell’Associazione Memoria e Futuro, il quale ha tratteggiato la figura del giornalista come quella del piccolo ma grande testimone della realtà, mentre di Letizia Battaglia ha ricordato la sua attività come assessore al verde nella giunta della “primavera palermitanaW”.

“Lo sport più praticato – ha continuato Ortoleva – in Italia è il depistaggio, malattia endemica della Repubblica italiana, mentre sono 11 i giornalisti uccisi e 9 quelli siciliani a cominciare da Mauro De Mauro, esperto di cronaca nera al giornale L’Ora”, che stava indagando per conto del registra Francesco Rosi sull’incidente di Enrico Mattei, caduto col suo aereo il 27 ottobre del 1962 a Bescapé dopo un soggiorno in Sicilia.

“La Sicilia – ha precisato Ortoleva – è una zona di confine e su di essa vi sono i frutti avvelenati della guerra fredda, con i depistaggi che vedono coinvolti anche segmenti dei servizi segreti, dei più alti gradi militari come ad esempio per la tragedia di Ustica con il perito del tribunale costretto a tenere la fusoliera dell’aereo Itavia precipitato addirittura sotto il letto”. Per il giornalista Ortoleva la strada da seguire sarà quella di “meno convegni e più rapporti con la scuola” e con gli studenti.

La prof.ssa Laudani ha quindi dato la parola al mondo del sindacato, nella persona di Pina Palella della CGIL, la quale ha illustrato gli interventi svolti a favore dei lavoratori regolari, ma anche e soprattutto di quelli che non lavorano od anche del cosiddetto “lavoro grigio”, dove non esistono completamente tutele o diritti in diversi settori come gli appalti o nel settore dell’agricoltura; di particolare rilievo le azioni sindacali previste in caso di aziende sequestrate dalla magistratura o poste in amministrazione giudiziaria anche in regioni italiane, come l’Umbria, l’Emilia-Romagna,il Piemonte (n.d.r: pure la Lombardia) dove il fenomeno sembrava non esistesse. “Il lavoro grigio – ha concluso Palella – è l’anticamera della mafia”.

Ricchissimo di “pathos” l’intervento successivo di Giovanni Caruso del GAPA, mitica figura di fotografo a stretto contatto con Pippo Fava al Giornale del Sud e, dopo la chiusura dello stesso, al mensile “I Siciliani”; la pubblicazione sul mensile dell’articolo “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa” ne decretarono l’uccisione la sera del 5 gennaio del 1984. “Si tratta di raccontare un periodo – ha continuato Caruso, colpito da una grave malattia alla vista – oscuro della città di Catania; ho continuato a lottare passando ad insegnare fotografia, occupando la scuola media Andrea Doria per 72 giorni, vivendo a stretto contatto con ragazzi e le loro famiglie nel quartiere San Cristoforo, espugnando il quartiere”.

A San Cristoforo Caruso da tanti anni collabora con il G.A.P.A. (Gruppo Assolutamente Per Agire). “L’azienda mafia – ha concluso Caruso – è molto organizzata con bambini e giovani, con corrieri, sentinelle e trasportatori di droga, ma la povertà, soprattutto quando si ha fame, spinge molte famiglie a nascondere in casa la droga, per poi calarla col paniere dai balconi. “La mafia storica permette – è l’amara conclusione dello stesso – le varie mafie come quella nigeriana”. Un lungo applauso, veramente intenso, si è levato dalla sala nei confronti di Giovanni Caruso a conclusione del suo intervento.

E’ stata la volta, subito dopo, della professoressa Antonella Inserra dell’U.D.I. (Unione Donne in Italia), la quale ha raccontato come sia stato modificato il nome da quello originario Unione Donne d’Italia a Unione Donne in Italia, una associazione tutta al femminile che, sin dalla resistenza, da il proprio contributo per la crescita della democrazia, per la pace, in collaborazione con i sindacati ed i partiti. “La lotta per le donne – ha continuato Inserra – equivale a lotta per la democrazia”; ha ricordato la conquista dei diritti per le donne, ma con le donne, e la fine del grave fenomeno degli aborti clandestini nelle campagne siciliane.

Maria Teresa Ciancio, nominata presidente della Fondazione Fava  dopo la scomparsa qualche anno fa di Elena Fava, figlia di Pippo, ha esordito ricordando l’articolo di Pippo Fava “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa” e come “la mafia si combatte e si vince con la cultura” e che il momento di “lottare per una società senza povertà, stando dentro la politica.

Un lungometraggio ha concluso la serata, prodotto dal professor Flippo Gravagno, docente di tecnica  e pianificazione urbanistica della facoltà di architettura a Siracusa, in collaborazione con due ricercatrici universitarie, Giusy Pappalardo ed Alessia Denise Ferrara, con immagini particolari della città di Catania e delle sue periferie. Lo stesso Gravagno ha poi esposto l’esperienza portata avanti nel quartiere di San Giovanni Galermo, alla periferia nord della città, con la “iniziativa dell’orto di comunità”.

Domenico Pirracchio