In questo periodo di apprensione anche a Randazzo per il primo caso certificato di contagio da coronavirus, ha suscitato profondo cordoglio la morte del settantaduenne camilliano fratel Antonino Pintabona, avvenuta a Cremona per una complicazione da SARS-CoV-2.
A darne notizia è stata la famiglia con un necrologio affisso per la città e l’istituto religioso attraverso un comunicato. Fratel Antonino, o Antonio, come lo chiamavano affettuosamente confrati e amici, era originario di Randazzo, un’antica città medievale che si snoda tra l’alta valle dell’Alcantara e il versante nordoccidentale dell’Etna, appartenente alla diocesi di Acireale dove sono presenti e operano i camilliani.
La sua formazione spirituale, invece, inizia sotto la guida del compianto arciprete mons. Vincenzo Mancini. Fin dalla giovinezza Antonino è attratto dal servizio verso gli ultimi, i più deboli, gli indifesi, i poveri. Ed è lo stesso padre Mancini che, intuendo la sua naturale predisposizione all’apostolato laico, lo stimola ad avvicinarsi al carisma camilliano. Il suo primo banco di prova è la casa di riposo per anziani “P. Vagliasindi” di Randazzo.
Tuttavia, è tra Acireale e Catania che il giovane Antonino incontra e sperimenta il carisma di San Camillo de Lellis, fondatore dell’Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi (camilliani). Negli anni avvenire, quando tornerà a Randazzo durante il periodo estivo, non scorderà mai di fare visita all’istituto e ai confratelli di Acireale. Dopo il primo contatto con la spiritualità camilliana entra nell’ordine e viene aggregato nella provincia siculo-napoletana.
Il suo titolo di studio gli permette di ottenere soltanto la qualifica di infermiere generico, ma è quanto basta per soddisfare il suo desiderio di cura corporale dei malati.
Dopo il noviziato, nel 1973, è fra i primi camilliani ad aprire la missione africana nell’attuale provincia Benin-Togo, insieme a padre Gino Cisternino e padre Vincenzo Di Blasi. Da quella missione ancora oggi i camilliani raccolgono i frutti. Quel sogno giovanile di servire il prossimo per Antonino è diventato realtà. In Africa trascorre il periodo della professione temporanea dei voti, che rinnoverà per diversi anni.
Nella città padana, i superiori gli affidano l’incarico, che forse più di ogni altro lo gratifica, di accudire la cappella della casa di cura e di seguirne le funzioni, nel luogo che custodisce le spoglie del beato camilliano Enrico Rebuschini, figura molto amata dai cremonesi e dal resto della diocesi. Con il suo approccio simpatico e spontaneo, fr. Antonino ha modo di farsi conoscere e amare da molte persone.
L’attuale epidemia da coronavirus in Italia ha uno dei maggiori focolai proprio nell’hinterland cremonese e la casa di cura dove risiede fra Antonino ne è travolta. Nonostante il suo coraggio e la sua generosità è colpito dal virus e nei primi giorni dello scorso mese di marzo è ricoverato per una grave polmonite. Per la fatica e l’affanno provocati dall’aggressività del virus, in cuor suo, avrà percepito che si stava avvicinando il momento della dipartita. Tanto è vero che pochi giorni prima di morire si congeda da fr. Carlo Mangione – che insieme ai confratelli di Casoria lo aveva chiamato al telefono per un saluto – esclamando: “pregate, pregate molto per me!”
Nonostante le cure dei sanitari e le attenzioni dei confratelli, la mattina del 7 aprile un peggioramento inaspettato e repentino lo conduce alla morte. Le sue spoglie mortali sono state tumulate venerdì santo nella cappella dell’Istituto presso il cimitero di Cremona.
Scherzoso, brioso, anima dei momenti conviviali in comunità, fr. Antonio non faceva nulla per mascherare le proprie origini siciliane, di cui, anzi, andava fiero. Ligio alla preghiera comunitaria, le sue basi scolastiche non gli consentirono l’approfondimento della teologia nella cui sfera in lui prevalse la forma devozionale e la passione per i santini, cui fu un valoroso collezionista.
“La notizia inaspettata e improvvisa della dipartita di fra Antonio mi ha addolorato – afferma don Enzo Calà, ex arciprete della basilica di Santa Maria in Randazzo – lo ricordo con grande stima e affetto. Tutti gli anni, per la festa dell’Assunta (la festa principale della città, ndr), durante le sue vacanze nella città natale, era solito trascorrere parte del tempo in Basilica, collaborando particolarmente per il servizio liturgico, ma dando anche la sua generosa disponibilità per altri servizi utili alla comunità. In occasione della festa offriva i fiori per l’addobbo dell’altare della Madonna, verso la quale nutriva una tenera devozione. Era un religioso molto solare, accogliente, devoto e soprattutto generoso. Varie volte donò alla Basilica diverse suppellettili sacre, qualcuna di particolare pregio artistico e storico. A lui – conclude Don Enzo – che ha seguito la via della perfetta carità, voglia concedere la Misericordia Divina la beatitudine eterna.”
Gaetano Scarpignato