Restano in carcere Benny La Motta, 63 anni, ripostese, inteso Benito o Baffo e Paolo Censabella, 62 anni, di Riposto, arrestati lo scorso 14 luglio nel quadro delle indagini sul feroce delitto di Dario Chiappone. Il Tribunale del Riesame di Catania ha rigettato le rispettive richieste di scarcerazione confermando per entrambi il provvedimento cautelare emesso dal G.I.P. di Catania, dott.ssa Maria Ivana CARDILLO, sulla scorta della richiesta del Sost. Proc. Santo Distefano della Procura di Catania. Attualmente La Motta è ristretto in un carcere del nord Italia, mentre Censabella in quello catanese di piazza Lanza. Come si ricorderà entrambi erano stati coinvolti a seguito dell’arresto e sulle successive indagini a carico di Nino Marano “il killer delle carceri”, detenuto per lo stesso omicidio presso il carcere Pagliarelli di Palermo. La conferma del carcere per i due presunti mandanti si aggiunge al pronunciamento, il 20 marzo scorso, della Corte d’Assise di Catania che ha già condannato all’ergastolo Tuccio Agatino e alla pena di 23 anni Salvatore Di Mauro, tutt’ora irreperibile.
Le indagini sul feroce omicidio di Dario Chiappone, il pizzaiolo giarrese di 27 anni ucciso a coltellate in via Salvemini a Riposto, il 31 ottobre del 2016, sono state caratterizzate in questi anni da una serie di colpi di scena. Sullo sfondo la gelosia sfrenata di un uomo Paolo Censabella, che avrebbe ordinato, previo pagamento, l’uccisione del giovane potenziale amante di una donna evidentemente “intoccabile”. Il movente – secondo quanto emerso dalla indagini che nel luglio scorso hanno portato all’arresto di Benedetto La Motta e del commerciante Paolo Censabella, 62enne, titolare di una rivendita di liquori, vini e bevande a Riposto – è legato da motivazioni sentimentali ed economiche riconducibili al rapporto di frequentazione della giovane vittima con l’ex convivente Censabella e che, secondo l’accusa, avrebbe ordinato il delitto. Un incarico che l’uomo – secondo l’accusa – ha affidato a quel La Motta, referente di spicco a Riposto della famiglia mafiosa Santapaola – Ercolano e che sulla scorta di una lauta “ricompensa” (50 mila euro) avrebbe pianificato la missione di morte, selezionando i sicari che avrebbero preso parte alla feroce esecuzione.