Nonostante sia un romanzo, nelle librerie da poche settimane, Il silenzio dei giorni della giornalista Rosa Maria Di Natale mi fa venire in mente le immagini della sua video-inchiesta del 2006 sul quartiere Librino di Catania, per cui si è meritata il premio “Ilaria Alpi”.
Le sue ultime pagine narrative si ispirano ad un delitto del 1980 quando a Giarre furono uccisi due giovani omosessuali. Come nella video-inchiesta il romanzo è descrittivo del contesto segnato da arcaici valori, dove vivono i due giovani e dove troveranno la morte.
E’ ambientato nel 1972 nella cittadina di Giramonte, otto anni prima dei fatti realmente accaduti, in cui le contraddizioni tra arcaicità e modernità erano ancora più marcate. Le contraddizioni erano vissute serenamente nella ridente cittadina dal dolce clima invernale, dal torrido caldo estivo e segnata da una imminente ricchezza commerciale.
Nel 1980 a Giarre, alias Giramonte, le cose erano un po’ cambiate, le ragazze portavano già le minigonne ed andavano in massa all’Università, ma niente era cambiato dal 1972 rispetto ai cardini delle pratiche sessuali prestabilite: la maternità fuori dal matrimonio era occasione per ciciuliàre, spettegolare, le donne dovevano innamorarsi degli uomini e viceversa, chi esibiva un diverso orientamento sessuale era deriso e, a volte, subiva pesanti violenze personali, ma di ciò ancora i giornali non riportavano notizia.
L’apertura di orizzonti politico-culturali, che poteva essere costituita da una visione di sinistra, a Giramonte, è rappresentata dal personaggio Tino Busacca, figura un po’ bislacca e confusionaria. Questo è il quadro descrittivo, quasi di inchiesta oserei dire, del contesto narrativo in cui l’uomo è ancora il capo famiglia portatore di reddito e valori maschili, o meglio maschilisti.
La scrittrice, seppure bambina sia nel 1972 che nel 1980, coglie intimamente l’atmosfera di quel periodo: la generazione dei padri e della madri senza incertezze e quella di noi giovanissime/i che intuivamo che oltre quella cortina ed apparente tranquillità poteva esistere un altro mondo dove vivere esperienze diverse a fronte di quelle sancite ed offerte dagli adulti.
Io che nel 1980 già facevo politica nella provinciale Giarre – Giramonte e frequentavo già l’Università, sconoscevo la nuova ed importante realtà associativa palermitana del FUORI, Fronte Unico Omossessuali Rivoluzionari Italiani, di cui un gruppo, per l’avvenuto delitto, si riversò in città tra lo sgomento e lo scandalo dei benpensanti.
Un giornalista del quotidiano L’Unità fu querelato dalla famiglia, i dipendenti comunali rispondevano con battute cariche di allusioni sessuali a chi chiedeva l’ora dell’iniziativa organizzata dal FUORI e naturalmente l’iniziativa fu molto disturbata da quelli che si ritenevano “veri uomini“.
Giarre nel 1972, come ancora nel 1980, era un centro gravitazionale autonomo dalla lontana e grande città di Catania, dove i costumi potevano essere più rilassati e in cui la generazione dei padri e delle madri si era scarsamente o addirittura mai recata. Eppure quando i fatti tragici familiari sono da fare obliare e dimenticare alla memoria della comunità, Catania resta sempre una città vicina , tant’è che nel romanzo Peppino viene mandato dal padre a studiare a Milano, dove nessuna/o conosce la tragedia di suo fratello Saverio, omosessuale ucciso con Matteo, il suo primo amore.
L’uccisone di Saverio viene velocemente attribuita alla vendetta per la sua immediata testimonianza resa ai carabinieri su una ammazzatina di malaffare, quando ancora non si chiamava mafia. Il giovane Saverio, invece, non regge alla reazione violenta del padre e alla cupa atmosfera del paese che lo riteneva malato. Non riesce a manifestare al mondo la sua diversità, come Matteo che invece la esibisce con il trucco delle ciglia e sopracciglia, facendo conoscere ai giovanissimi, come all’adolescente Peppino, che era possibile vivere amori diversi da quelli predicati da padre Fallico, dalle madri e soprattutto dai padri.
Solo le madri, quella di Saverio e quella del giovane, ottuso compagno di giochi dei due fratelli ed inconsapevole assassino, conosceranno la verità e ne conserveranno il segreto fino alla morte. Segreto di cui il fratello Peppino, voce narrante del romanzo, verrà a conoscenza per volontà della madre.
Sono grata a Rosa Maria Di Natale per questo romanzo, e ripeto inchiesta, perché nonostante scriva lei stessa nella sua nota del libro: “Ma a volte capita che una cosa accaduta nella realtà ne richiami altre del tutto inventate, e non per questo meno veritiere della vita che siamo chiamati a vivere”, ha fatto sì che i fatti che sconvolsero Giarre nel 1980 abbiamo una pagina di storia, nonostante l’autonomia della sua opera letteraria. Il coraggio di vivere dei reali personaggi, Antonio e Giorgio, vivrà nella nostra memoria.
Nunziatina Spatafora