Nel salone degli specchi del palazzo comunale di Giarre, il prof. Antonino Alibrandi ha tenuto una conferenza sul tema “1554: il nuovo luogo di posta ‘delle Giarre’ – Giarre: nuova tesi sul toponimo”. La conferenza è stata organizzata dal Comune di Giarre (presente il sindaco Leonardo Cantarella e il consigliere comunale Angelo Spina) e dalla Sezione Comprensoriale dell’Area Ionico-Etnea dell’Archeoclub (presente la presidente, prof.ssa Maria Rosaria Grasso).
Il prof. Alibrandi ha presentato, di fatto, la sua ultima pubblicazione, un saggio dello scorso settembre, dal titolo “Mascali (XVI secolo – Prima metà del XVIII): contro il ‘Cristiano ordine’ (i Turchi – I banditi – gli eretici)”, all’interno del quale un breve capitolo è dedicato a Giarre nel XVI secolo.
“Il documento del 6 luglio 1554 (rintracciato presso l’archivio Municipale di Acireale) – ha spiegato il prof. Alibrandi – precede la documentazione attestante l’esistenza del toponimo Giarre di qualche decennio; detto documento presenta il luogo “delle Giarre” come un fondaco, come un luogo di posta di recente formazione, con “tre mule di ricambio” mantenute a spese della Città di Taormina”.
Il prof. Alibrandi ha suggerito un’altra possibilità di interpretazione del toponimo ‘Giarre’, che in molti sostengono significare “le giare”; Alibrandi, pur accettando l’origine del toponimo dall’arabo “faggiar”, sulla scorta del grande arabista Girolamo Caracausi, ha sostenuto che detto termine oltre a significare detto manufatto può significare anche il materiale di cui quel manufatto è realizzato e cioè l’argilla, per cui Giarre potrebbe significare “Le argille”.
I geologi di oggi non indicano come argillose le terre di Giarre, ma i naturalisti dei secoli scorsi (Francesco Ferrara, Giuseppe Recupero, Giuseppe Antonio Mercurio) hanno dato questa caratteristica come caratterizzante il territorio (citando anche ampi banchi di argilla, un conetto eruttante magma solforoso e argilla, e altro) , tanto che fra l’altro Recupero, nella seconda metà del Settecento, scriveva che “l’argilla è talmente polverizzata e così ben mescolata coll’arena e terra dell’Etna, che in tempi asciutti fanno le cavalcature sollevare in aria un nembo di sottilissima polvere”.
Alibrandi ha ricordato anche come, nel 1906, Salvatore Raccuglia ha, invece, fatto derivare detto toponimo da un presunto termine tardo-latino, “jarra”, col significato di “quercia”.