Processo "Iddu", nuova stangata (condanna in appello a 20 anni) per Benito La Motta -
Catania
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Processo “Iddu”, nuova stangata (condanna in appello a 20 anni) per Benito La Motta

Processo “Iddu”, nuova stangata (condanna in appello a 20 anni) per Benito La Motta

Ancora un macigno per il boss ripostese Benito La Motta.  Pochi giorni dopo dalla conferma dei 30 anni per l’omicidio del pizzaiolo giarrese Dario Chiappone, accoltellato in via Salvemini,  è pervenuta una nuova sentenza di condanna.

La Corte d’Appello di Catania ha  confermato, pur riconoscendo la continuazione con un’altra sentenza, la condanna a 20 anni per mafia nell’ambito del processo frutto del blitz “Iddu”.

I carabinieri nel 2020 fecero recapitare in carcere al capomafia l’ordinanza che lo vedeva a capo della cellula dei Santapaola. In assenza di La Motta, a fare da supplente e messaggera sarebbe stata la moglie Grazia Messina, condannata a 8 anni (in primo grado il gup le aveva inflitto 9 anni).

La Corte d’Appello ha riconosciuto ad alcuni imputati le attenuanti generiche ad altri ha escluso la recidiva, queste due valutazioni hanno portato alle riduzioni nel dispositivo.

L’OPERAZIONE IDDU

Con l’operazione Iddu condotta dai carabinieri è stata disarticolata una organizzazione criminale radicata nel territorio che spadroneggiava nel campo delle estorsioni e nella gestione del traffico della droga, facendo leva sullo spessore criminale del clan. 22 gli arrestati ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso”, associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, detenzione e spaccio di stupefacenti, estorsione aggravata, lesioni aggravate, tutte commesse con l’aggravante del metodo mafioso. I carabinieri hanno ricostruito l’ingente volume d’affari illegali, il sistema di gestione delle piazze di spaccio h 24, le modalità di approvvigionamento e la cessione di cocaina, marijuana e hashish, oltre al mantenimento degli affiliati detenuti.

Indagini che hanno consentito di delineare anche numerosi episodi di violenza sfrenata come il pestaggio a sangue di un ladruncolo ripostese reo di avere messo a segno – in autonomia – una rapina in danno di una pizzeria di Riposto che risultava però “coperta” dal gruppo di La Motta, versando regolarmente il pizzo e che pertanto essendo sotto l’”ombrello” del clan non poteva essere soggetta ad alcun tipo di azione predatoria. Episodio dietro il quale i carabinieri hanno anche accertato il ruolo preminente della moglie di La Motta, Grazia Messina, operativamente subentrata al marito nel periodo in cui, nel dicembre del 2017, era finito in manette su ordine di carcerazione.

La donna, stando all’accusa contestata, facendo le veci del marito, non solo riceveva i proventi delle estorsioni, ma dimostrava di saper amministrare anche la giustizia criminale quando, per l‘appunto, in occasione della predetta rapina “autonoma” ai danni di una pizzeria sottoposta al pizzo, avrebbe commissionato il pestaggio, proprio per non dare segni di debolezza.

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