Sembra trascorso un secolo da quelle bottiglie di spumante alzate al cielo in piazza San Vito a Macchia. Le immagini di festa, di quella vittoria annunciata. In tasca già da mesi. Una vittoria sulla quale, invero, hanno lavorato in molti. Compresi chi, invece, bollati come “eretici”, hanno avuto il ben servito. Con l’isolamento, prima. L’estromissione dopo.
Il malcontento, che inizialmente era limitato ad una manciata di consiglieri, si è trasformato in un fiume in piena. Travolgente. Sullo sfondo la mancanza di trasparenza e di condivisione delle scelte dell’amministrazione: i consiglieri di maggioranza hanno lamentato di non essere stati coinvolti nelle decisioni più importanti, di essere stati esclusi dai processi decisionali. E poi presunte ingerenze mal digerite. Assessori senza copertura politica che avrebbero agito con maldestre manovre al punto da spiazzare lo stesso sindaco. Atteggiamenti irrituali, inaccettabili, contro i quali, la maggioranza, si è coalizzata graniticamente.
Il sindaco Leo Cantarella rispetto alla crisi aperta seraficamente ha espresso il suo disappunto. Ma come al solito senza eccedere troppo. E ad oggi, nonostante le pressioni interne, non ha fatto passi concreti per risolvere la crisi.
Il vice presidente del Consiglio, Raffaele Musumeci, ha invece accusato apertamente l’esecutivo di essere antidemocratico e di non rappresentare gli interessi della città: “Questa non è politica. Questi non sono gli interessi della città, né tantomeno dei cittadini. Si rende necessario aprire un confronto politico volto a ristabilire gli obiettivi che i cittadini hanno democraticamente richiesto, mettendo così fine ad un governo della città antidemocratico del sindaco e di pochi altri, poiché il Regno dei Satrapi di Persia è finito da secoli”.
A questo punto, la scelta della soluzione più appropriata dipenderà dalla gravità della crisi e dalla disponibilità dei diversi attori politici a trovare un compromesso, che, al momento, appare del tutto improbabile. Non di certo nelle condizioni attuali. Venerdì sera, davanti al municipio, la scena che si è materializzata era gigantescamente surreale.
Con il sindaco circondato da uno sparuto numero di consiglieri che hanno poi abbandonato la Casa comunale. Sul marciapiede di via Callipoli qualche consigliere avrebbe udito la magica frase: “Per me possiamo andare tutti a casa”. Ma nessuno, ad alta voce, ha voluto attribuirla al sindaco.
Tuttavia le espressioni facciali, con i micro movimenti dei muscoli del viso del primo cittadino, hanno palesemente espresso il suo stato d’animo: sopracciglia aggrottate, palpebre strette e la bocca chiusa e serrata.
A due giorni dalla crisi il sindaco tace. Nessuna nota ufficiale. Inconsuetamente per lui parlano, invece, il vice sindaco, Raciti e, a denti stretti qualche consigliere. Gli altri assessori: non pervenuti. L’opposizione gongola senza farlo troppo notare. Stavolta non basterebbero neppure due stampelle.
L’avvio del nuovo anno si annuncia peggio di quello uscente. Sullo sfondo la necessità di avviare con urgenza un confronto aperto e sincero tra i componenti della maggioranza consiliare e l’esecutivo per capire le vere cause dell’attuale scollamento tra maggioranza e l’amministrazione e trovare un accordo, per quanto sia un impervio obiettivo. Un rimpasto di Giunta potrebbe non bastare per dare maggiore rappresentatività alle diverse anime della maggioranza.
Se la crisi non verrà risolta, le conseguenze per la città potrebbero essere molto gravi. Il Comune potrebbe ritrovarsi paralizzato in un momento in cui è necessario accelerare sulla ripresa economica e sociale. Inoltre, la crisi potrebbe portare a un aumento della conflittualità politica e sociale, con ripercussioni negative sull’immagine stessa del Comune con il sindaco che, appena pochi mesi fa brindava all’uscita dal dissesto.
E il primo cittadino nella consapevolezza di essere il capo dell’amministrazione dovrà assumersi la propria responsabilità. Perché è lui. Solo lui, ad essere chiamato ad individuare la soluzione più adeguata per uscire dall’attuale impasse.