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900 anni fa: 1124, Ruggero II avrebbe concesso ad Ansgerio, Vescovo di Catania, Mascali e il suo territorio

900 anni fa: 1124, Ruggero II avrebbe concesso ad Ansgerio, Vescovo di Catania, Mascali e il suo territorio

Che Mascali e il suo territorio siano stati infeudati (come una “baronia”, di fatto), da Ruggero II il Normanno (ancora “Conte” di Sicilia; ne sarà re dal 1130 al 1154), al primo vescovo di Catania, Ansgerio (nel di questi ultimo anno di vescovato), è affermazione che ci viene data, nel 1659, nella “Catana Sacra” (pag. 68), da Giovan Battista De Grossis, il quale (così come nessun altro storico) nessun documento ci ha tramandato in proposito. Infatti, De Grossis fu fiancheggiatore della volontà dei Vescovi di Catania nel dimostrare sempre il loro dominio sul territorio di Mascali, a dispetto e a sostegno di falsi e di interpolazioni, e poi anche del mai concesso, alla metà del XVI secolo, titolo di “Conte”.

Secondo Giovan Battista De Grossis, Ruggero II avrebbe riconfermato Mascali e territorio ai Vescovi di Catania, con un documento del 1126 (1125, a seconda dell’”indizione” utilizzata; allora, vescovo Maurizio). Questo diploma di (ri)concessione (per molti studiosi, considerato, invece, come l’unico atto di concessione del territorio di Mascali ai Vescovi di Catania e trattato e studiato, solo esso, come tale), ad opera di Ruggero II, al catanese vescovado, ci lascia profondamente convinti sulla sua inautenticità. Simile convinzione è stata manifestata, nel 1959, anche, da uno dei maggiori studiosi di diplomatica medievale, Paolo Collura, ma con riflessioni, sul perché fu redatto, diverse rispetto a quelle mie, poiché egli, sulla scorta del grande Léon-Robert Ménager, lo considerò una “copia di cancelleria sostanzialmente sincera”, elaborata, per necessità di cose, dopo il terremoto del 1169, nel quale il Collura (e il Ménager) immaginò, quindi, essere andati perduti i documenti di prima età normanna in possesso dei vescovi catanesi (sappiamo, invece, che ben altri documenti non falsificati sopravvissero, nella Curia catanese, a quel terremoto); queste, esattamente, le parole del Collura relative alle caratteristiche del documento: “è copia di cancelleria sincera il sigillion dell’a.m. 6634 (=1125), dicembre, ind. IV, con cui Ruggero II dona a Maurizio, vescovo di Catania delle terre presso Lentini e Mascali: soltanto così si possono spiegare gli errori dell’intitulatio, lo stile oggettivo del protocollo, l’assenza del monocondilo, della plica e di ogni traccia di sigillazione”. Io, invece, ritengo il documento del 1125 (1126), frutto con più presumibilità di voluta falsificazione (al limite, di interpolazione) documentale, operata, con moltissima probabilità, nel decennio di minorità, 1198-1208, di Federico II; non è un caso che lo Svevo, dopo accurata indagine, toglierà, nel 1221, Mascali al Vescovo di Catania e che, poi, Carlo d’Angiò, dopo l’inchiesta, ben “pilotata”, del vescovo d’Albano, Rodolfo, la riconcederà (1267-68) al Vescovado catanese, in linea con la sua politica filo papale ed ecclesiastica. Quindi, secondo me, fu falsificazione non dovuta a trascrizione per necessità, ma voluta elaborazione documentale per dare “forma” ad un potere esercitato di fatto (ma, probabilmente, mai ottenuto formalmente in epoca normanna) su un territorio, il nostro.

Riflettiamo su quanto sopra scritto. Innanzitutto, bisogna ricordare che i Normanni completarono la conquista della Sicilia (dopo una lunga guerra, iniziata nel 1060) nel 1091, con la presa di Noto; e, già, nel 1091 fu fondato il Monastero benedettino di Catania, il quale, nel 1092, fu eretto a sede episcopale, con vescovo l’abate calabrese Ansgerio, con diploma del 26 aprile; con questo diploma, il Vescovado catanese fu dotato di beni feudali, cioè della città di Catania e delle sue pertinenze e del territorio di Iaci (la concessione era unita al completo diritto della giustizia secolare, che comprendeva quella criminale soprattutto, elementi, questi, necessari per poter affermare il pieno controllo signorile sul territorio e per potersi, dunque, fregiare del titolo di “dominus”, di “barone” secondo un linguaggio più tipico dei secoli successivi); né Mascali, né Calatabiano e né Sant’Anastasia furono allora concesse. Il Collura (e il Ménager) considerò frutto di falsificazione questo documento, innanzitutto per l’errata data ivi riportata, quella del 1091, e per le impossibili sottoscrizioni di Giordano e Goffredo, figli del Gran Conte Ruggero (e con la stessa giustificazione che detta falsificazione si sarebbe resa necessaria dopo il terremoto del 1169, il quale tutto avrebbe fatto scomparire sotto le sue macerie). Che ne fu di Mascali, da quel 1092 al 1124 (trentadue anni!)?

Per potersi muovere fra queste falsificazioni totali o parziali, secondo me è necessario spostare la visuale di un secolo e cioè bisogna leggere i comportamenti e le scelte operate dall’imperatore Federico II di Svevia, nel 1220-21, quando, in seguito alle “Assise di Capua”, della seconda metà del dicembre 1220 (riflessione, questa, relativa alle “Assise”, in relazione ai nostri documenti, mai posta in essere da altri storici, se non da me), egli mantenne, al Vescovo, Catania, ma incamerò nel regio demanio Mascali (revocò, al Vescovo anche un terzo del dazio su Catania e la “custodia porti”); le “Assise di Capua” furono volute proprio per mettere ordine sulla enorme quantità di falsificazioni documentali operate dai poteri locali soprattutto negli anni di minorità dello stesso Federico II (1194-1208); richiamandosi alle consuetudini del tempo di Guglielmo II, con le Assise VIII e X, egli rese esplicito il suo volere nei confronti del potere baronale: sull’esempio delle disposizioni di Ruggero II, del 1144-45, l’Imperatore volle rivedere e riordinare il sistema feudale del Regno, rivendicando, al suo demanio, tutti i feudi e tutti i diritti che erano stati alienati appunto durante la sua minorità; con l’Assisa XV assegnò, ai signori del Regno, come termine della presentazione dei documenti, dei privilegi, la Pasqua (11 aprile 1221) per tutti i luoghi “qui sunt ultra Farum” e la Pentecoste (30 maggio 1221) per tutta la Sicilia; i signori del Regno avrebbero dovuto, così, dimostrare che quanto da loro posseduto era stato veramente concesso dai re normanni o dall’imperatore Enrico VI (e, in questo caso, lo avrebbero avuto confermato) e non frutto di falsificazioni (e, in questo caso, lo avrebbero avuto revocato). Quanto contenuto nel documento del 1092, con cui il Vescovo ebbe Catania, in parte fu concesso e in parte revocato: il che ci fa ritenere quel documento essere stato interpolato; quanto contenuto nel documento presunto del 1124 e in quello del 1125 (1126) fu del tutto annullato e Mascali incamerata nel demanio: il che ci fa ritenere, come ipotesi principale, quel documento essere un falso.

Quali ulteriori riflessioni proporre? L’ipotesi più probabile potrebbe essere questa: nel 1092 il Gran Conte Ruggero concesse, al Vescovo, Catania e probabilmente Iaci (sappiamo che Iaci e Sant’Anastasia saranno del demanio nel 1239, ma all’interno di una temperie e di decisioni imperiali diverse), senza alcun riferimento al territorio boschivo posto più a nord (questa non puntuale definizione dei territori feudali, probabilmente era dovuta ad una visione pressapochistica del Regno da parte del sovrano e della corte, tanto è vero che l’incarico dato da Ruggero II a Idrisi, di lì a non molto, di redigere un testo dettagliato di tutti i territori del Reame, era dovuto proprio alla scarsa conoscenza del Regno), che, comunque, era stato posto nella diocesi di Messina e non di Catania; nei fatti, quel territorio, quello di Mascali (da considerarsi, anche sul piano giuridico, in quel XII secolo, a seconda del punto di vista, implicitamente come il prolungamento naturale, quindi come parte, di quello di Catania-Iaci o di quello di Messina), ebbe, per sua naturale condizione e collocazione, continui stretti rapporti soprattutto con Iaci e con Catania e, di fatto, fu il potere vescovile di Catania che si fece sentire, come signorile, in quel tratto di luogo etneo; per cui, poi, approfittando della minorità di re Federico, pensò bene il Vescovo (Ruggero Orbo o Gualtiero di Palearia) di “legalizzare” con un falso quel dominio mascalese di fatto concretamente amministrato per quasi un secolo. In questo caso, Mascali (che, comunque, nel XII secolo, almeno fino al terremoto del 1169, non era un borgo di disprezzabile entità, vista la descrizione, operata, nel 1154, da Idrisi) sarebbe stata del Vescovo di Catania, frutto di un abuso, legalizzato momentaneamente da un falso e poi legalizzato definitivamente, nel 1267 angioino, con un atto legale fondatosi su un’inchiesta pilotata con dichiarazioni false.

Se i documenti del 1124 e 1125 (1126) non fossero dei falsi e la confisca di Mascali operata da Federico II per altre valutazioni, allora dovremmo accettare l’ipotesi di un lento processo di feudalizzazione (conseguente ad una lenta consapevole conoscenza delle caratteristiche dei territori siciliani) dei territori del Regno (Mascali attribuita, come feudo, ben dopo trentadue anni circa dal completarsi della conquista normanna con le sue prime, conseguenti, attribuzioni feudali).

Per ulteriori dettagli sull’argomento, sui testi degli autori qui citati, per le conseguenziali citazioni bibliografiche e per i contesti storici relativi, consultare il mio: Antonino Alibrandi, “Mascali e il suo territorio – La Storia – Dai Bizantini a Carlo III di Borbone (535-1759)”, Amazon, Leipzig, 2023.

Antonino Alibrandi

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