300 anni fa: 1724, in Mascali, a Giarre, l’eretico Antonino Casale – L’Inquisizione nel nostro territorio

Possediamo il nome di un inquisito del territorio della “Contea” di Mascali e ciò grazie ad una cronaca, di Antonino Mongitore, del 1724 (“Breve ritratto generale di Fede celebrato in Palermo il giorno 6 di aprile del presente anno 1724”). Vi si legge che, nel famoso “auto da fé” di quel giorno e di quell’anno, tenuto a Palermo, fra i vari rei, vi era anche un certo Antonino Casale, riportato come nato in “Jaci Reale” e abitante in Mascali, più probabilmente. Fu bandito dal Regno per opera del Sant’Uffizio per un anno (“Fu desterrato da Mascali, Giarri, Palermo e corte di S.M.C.C. per un anno”); da queste parole si potrebbe evincere che il toponimo “Mascali” venne riportato in quanto indicante il centro amministrativo del luogo di abitazione dell’ “eretico” e quello di “Giarri”, che da Mascali a quei tempi dipendeva, quale località di residenza effettiva dello stesso (potrebbe trattarsi, plausibilmente, di quello stesso Antonino Casale che viene riportato in matrimonio, in Giarre, nell’anno 1706, con tale Eleonora di Gregorio, proprio nel primo atto di matrimonio comunicatoci dal “Liber Cognugatorum” dell’Archivio Parrocchiale del Duomo di Giarre); la sua provenienza da “Jaci Reale” conferma che ancora, in quegli anni del Settecento, un certo flusso di acesi verso il territorio mascalese e partitamente verso Giarre, non si era arrestato. Vito La Mantia ha definito il reo in questione genericamente essere di Mascali.

Il “pravo” Antonino Casale fu accusato di essere un “bestemmiatore ereticale”, per cui fu condannato ad una pena leggera. Quel sei aprile egli “Uscì con sua mordacchia in bocca, e portato alla vergogna per le pubbliche strade della città senza azzotte (senza colpi di frusta; n.d.a.)”. Il nostro inquisito fu tradotto, quindi, per le vie di Palermo, fra una folla rigurgitante da ogni dove: ben centoquarantamila persone, fu calcolato allora, assistettero, nella città, al “trionfo della Santa Fede”; molti erano venuti da fuori, chi per curiosità, chi, impauriti, per testimoniare quanto fossero lontani dall’eresia; e tutti urlavano, al passaggio della schiera dei condannati, che questi si pentissero dei loro “orribili” peccati, ed inneggiavano, gridando “sino alle stelle: Viva la Santa Fede, viva la Santa Fede”. Fu quello l’ “auto da fé” nel quale trovarono la morte, col rogo, nel Piano di Sant’Erasmo, “Suor Geltruda Maria Cordovana, terziaria dell’ordine di S. Benedetto, nel secolo chiamata Filippa Cordovana, naturale di Caltanissetta, diocesi di Girgenti, di età di anni 57, eretica formale, molinista e quietista, impenitente ed ostinata” e “Fr. Romualdo di S. Agostino, discalzo, nel secolo chiamato Ignazio Barberi, naturale di Caltanissetta, diocesi di Girgenti, di età di anni 58, eretico formale, molinista e quietista, relasso, e settario di molt’altre eresie, impenitente ed ostinato”. Comunque, la sorte che toccò ad Antonino Casale fu fra le più lievi, in confronto a quella toccata ad altri; citiamo, attraverso Mongitore, qualche caso: Anello di Martino, napoletano, abitante in Palermo, accusato di essere un “bestemmiatore ereticale” e di aver rotto con disprezzo delle immagini sacre, fu condannato “a servire al remo per tre anni nelle regie galere senza soldo, e poi esiliato per altri tre anni da Palermo e corte di S.M.S.C.”; Giuseppe Pirricone, di Leonforte, abitante a Sala di Partinico, accusato di poligamia, fu condannato “al remo” per cinque anni; fra’ Lorenzo di San Pietro di Patti, “laico dell’Osservanza di S. Francesco, chiamato nel secolo Girolamo Calcerano, per comunicazione familiare col demonio, sortilegi qualificati, e per usare de’ scongiuri superstiziosi”, fu “condannato a reclusione per anni cinque in un convento di sua religione ben visto al tribunale; con che del superiore di detto convento se gli designasse un soggetto dei più riguardevoli, che lo coltivasse nella vita normale; e detto superiore ogni sei mesi debba dar conto al tribunale de’ costumi dello stesso”; Maria Tamburello, di Marsala, accusata di “sortilegi qualificati con effetti seguiti, e fattucchiera”, fu “reclusa per anni cinque nell’ergastulo del tribunale”; Paulo Barbaro, di Salaparuta, accusato di essere “recidivo in sortilegi e superstizioni, per li quali fu penitenziato..nell’Atto particolare celebrato li 11 di settembre del 1721, e per aver celebrato messa non essendo sacerdote..fu condannato a reclusione perpetua nell’ergastulo, o in altra parte ben vista al tribunale”; D. Giuseppe Santo Marco, alias Donato di Militello Valdemone (presumibilmente, Sant’Agata di Militello; n.d.a.), accusato di “aver celebrato molte volte la messa ed amministrato il sagramento della Penitenza non essendo sacerdote, e per aver fuggito replicatamente dalle carceri… fu condannato al remo per anni 10”. Molti venivano assolti, dal Tribunale del Sant’Uffizio, con la formula “ad cautelam”. Quale fu la vita di questo Antonino Casale; chi lo accusò di quegli atteggiamenti religiosamente e moralmente deplorevoli e lo consegnò al Tribunale della Santa Inquisizione; ritornò Antonino Casale, dopo l’anno di esilio, nel nostro territorio? Queste ed altre domande potrebbero avere una risposta e far più luce su questo “eretico bestemmiatore”; chissà, forse, dalle carte di qualche archivio locale e non, qualcos’altro potrebbe saltare fuori e soddisfare la nostra curiosità!

Fino a qualche tempo addietro, si riteneva non esserci stata alcuna struttura della Santa Inquisizione in Mascali (non vi è alcun cenno in nessuno dei non molti documenti esterni a quelli mascalesi, rimastici su questa Istituzione); abbiamo sempre immaginato essere probabile che, su Mascali, abbia allora operato direttamente l’Inquisizione acese per conto del vescovo di Catania coadiuvata dai giudici ecclesiastici del Vescovo di Messina (nell’Acese, sia nel 1575 e sia nel 1597, operavano un Commissario, un Notaio e quindici Familiari inquisitoriali; in Sicilia, contrariamente che nel resto d’Europa, fin dai tempi di Federico II, dal 1215, l’Inquisizione era regia, per cui il processo di fede era avviato dagli ufficiali regi, mentre solo il giudizio sull’errore di fede era affidato ai giudici ecclesiastici); l’esiguo numero degli abitanti in Mascali per tutto il Cinquecento è probabile che non abbia richiesto in loco nessuna struttura articolata dell’Inquisizione e abbiamo sempre ipotizzato, per Cinquecento e probabilmente anche per il Seicento, non più della presenza, pur non documentata, di qualche “familiare”, “famigghiu” (una sorta di “spia” in loco) nel dialetto locale.

Un nome, con la sua funzione inquisitoriale, in relazione a Mascali, è spuntato invece, grazie a recenti ricerche d’archivio condotte dal mascalese Leonardo Vaccaro (che mi ha fatto avere questo riferimento storico e documentale); trattasi di Salvatore Patanè, commissario del Sant’Uffizio nella città di Mascali (e, ovviamente, per l’intero territorio della “Contea”) di certo nel 1756 (il “Commissario D. Salvatore Patanè” risultava censito, nel 1743, da mons. Giann’Angelo De Ciocchis, nella sua “Sacra Regia Visitazione” per conto del re Carlo III di Borbone, quale usurpatore di “tumuli due e mondelli due in contrada della Macchia”): essendo aumentato il numero degli abitanti soprattutto nel Settecento, fu, evidentemente, necessario attribuire, al ricco e popolato territorio comitale, almeno una figura di “commissario” inquisitoriale. In questo documento del 1756, la Chiesa Madre San Leonardo di Mascali risulta definita come “Venerabile insigne Matrice Collegiata”. Per i riferimenti bibliografici e per altri dati e valutazioni storiche sull’argomento, il mio: Antonino Alibrandi, “Mascali e il suo territorio – La Storia – dai Bizantini a Carlo III di Borbone, Amazon, Leipzig, 2023.

Antonino Alibrandi