L’Istituto Omnicomprensivo “Angelo Musco” di Catania ha ospitato una solenne cerimonia dedicata alla consegna delle Onorificenze al Merito della Repubblica Italiana e delle Medaglie d’Onore, quest’ultime conferite dal Presidente della Repubblica ai cittadini italiani, militari e civili, deportati nei lager nazisti e costretti al lavoro coatto per l’economia bellica durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il Prefetto di Catania, Dott.ssa Maria Carmela Librizzi, ha evidenziato il valore simbolico di svolgere la cerimonia in una scuola, sottolineando l’importanza di trasmettere alle nuove generazioni esempi virtuosi di chi, facendo il proprio dovere, ha lavorato per il bene comune. Gli studenti dell’Istituto Musco, affiancati dalle autorità, hanno consegnato le onorificenze, segnando un ideale passaggio di testimone tra generazioni.
Successivamente, sono state consegnate le Medaglie d’Onore. Gli studenti, il Prefetto, i rappresentanti delle Amministrazioni locali e il Viceprefetto Aggiunto Dott. Cosimo Gambadauro in rappresentanza della Commissione Straordinaria del Comune di Randazzo, hanno reso omaggio a Giuseppe Aloisi (Tremestieri Etneo), Giovanni Ciraldo (Catania), Carmelo Coco (San Giovanni La Punta), Antonino D’Amico e Gaetano Vagliasindi (Randazzo), Vincenzo Di Dio (Mirabella Imbaccari), Gaetano Pagano (Motta Sant’Anastasia) e Felice Pidatella (Sant’Agata Li Battiati).
A ricevere la medaglia per Antonino D’Amico sono state le sue sorelle Maria, Maria Concetta, Giovanna e il nipote Mariano Caggegi, mentre per Gaetano Vagliasindi il riconoscimento è stato ritirato dalla nipote Maristella Dilettoso.
Antonino D’Amico e Gaetano Vagliasindi, erano due militari di Randazzo che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, si opposero con coraggio al nazismo, pagando con la vita il rifiuto di piegarsi all’esercito tedesco.
La documentazione sulla carriera militare di Antonino è frammentaria a causa della devastazione subita dagli archivi durante i bombardamenti del 1943 che distrussero pure la corrispondenza personale inviata da Antonino ai familiari di Randazzo. Tuttavia, testimonianze orali, soprattutto del padre, nel dopoguerra hanno consentito alle autorità di ricostruire la sua carriera militare. Chiamato per il servizio di leva nel 1934, una settimana prima che nascesse la figlia Anna, fu richiamato alle armi nel 1940, quando l’Italia entrò in guerra al fianco della Germania nazista. Dopo aver combattuto prima in Africa e poi in Grecia fu catturato dai tedeschi e senza che gli venisse riconosciuto lo status di prigioniero di guerra fu deportato alternativamente nei lager di Dachau e Neuengamme, in Germania, dove gli venne assegnato il numero di matricola 100992.
In questi campi, simbolo della violenza e della brutalità nazista per intimidire e annientare ogni forma di resistenza, i tedeschi ammassavano prigionieri, prevalentemente oppositori politici, sottoponendoli a torture, fame e privazioni disumane.
Pur essendo sopravvissuto alla liberazione del lager da parte degli inglesi, morì il 15 maggio 1945 in un ospedale da campo a Rothenburg (Germania), a causa delle malattie contratte durante la prigionia. Dichiarato disperso, la moglie e la figlia Anna emigrarono negli Stati Uniti, nel 1949. Le sue spoglie mortali riposano nel cimitero militare italiano d’onore di Amburgo, all’interno del complesso di Öjendorf.
Quando l’Italia firmò l’armistizio, si trovava in servizio sull’isola di Kos nel Dodecaneso (Grecia). Qui, catturato dai tedeschi, rifiutò di collaborare con i nazisti, scegliendo la via dell’integrità. Questo atto di coraggio gli costò la vita: fu giustiziato senza alcun processo insieme ad altri ufficiali italiani. Le esecuzioni iniziarono il 4 ottobre 1943 con la fucilazione del colonnello Felice Leggio e proseguirono con i suoi più stretti collaboratori tra cui il S. Ten. Gaetano Vagliasindi. I suoi resti furono ritrovati nel 1945, insieme a quelli di altri 66 militari, ma di questi solo 39 vennero identificati con certezza. Tra il 2013 e il 2018, le indagini condotte dal pubblico ministero M. De Paolis della Procura militare di Roma hanno consentito di ricostruire i dettagli dell’eccidio di Kos, identificando persino i responsabili dell’esecuzione in cui fu giustiziato il S. Ten. Gaetano Vagliasindi.
In un’epoca segnata da nuove minacce totalitarie e dai venti di guerra, la cerimonia ha rappresentato, quindi, un’importante occasione di riflessione, mettendo in risalto il valore della vita, della resistenza e della giustizia. Il sacrificio di Antonino D’Amico e di Gaetano Vagliasindi resta un esempio luminoso per le generazioni presenti e future, un monito per preservare la libertà (mai scontata) e la dignità umana, conquiste raggiunte a un prezzo altissimo.
Questo momento di memoria collettiva ci esorta a dire “no” al dispotismo e a celebrare chi ha scelto di resistere, affinché il loro esempio continui a ispirare un futuro migliore.
Gaetano Scarpignato