Un disastro senza morti, una ricostruzione senza pecche -
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Un disastro senza morti, una ricostruzione senza pecche

Un disastro senza morti, una ricostruzione senza pecche

L’eruzione del 1928 che cancellò Mascali: una tragedia tra dubbi storici, testimonianze orali e censura fascista

Uno squarcio nel verde, una macchia nera in mezzo ai giardini e alle case. Così si è presentata, per decenni, ciò che rimane dell’antica Mascali, di fronte a Sant’Antonino. Una sciara selvaggia formatasi nel 1928, a seguito di un’eruzione che ha segnato la storia della cittadina jonica per sempre.

I mezzi di informazione dell’epoca registrarono le fasi convulse dell’evento, con la colata lavica imminente, la disperazione degli abitanti, l’avvicendarsi delle autorità e, infine, la distruzione quasi totale del centro abitato. Carichi di pathos sono i filmati dell’Istituto Luce, che immortalano la furia devastatrice del fuoco e l’evacuazione dei civili. In seguito, gli storici locali hanno documentato, con fonti scritte e orali, la ricostruzione della città, che oggi sorge più a valle, a cavallo della strada statale 114: la scelta del sito, la progettazione delle principali architetture e infrastrutture, il graduale trasferimento di abitanti vecchi e nuovi.

L’evento fu cavalcato dal regime fascista, che riuscì a trasformarlo in un successo propagandistico. In particolare, la ricostruzione fu presentata come un esempio di risposta veloce ed efficiente a un’emergenza naturale e ai bisogni umani di migliaia di cittadini, simbolo di una nuova Italia che avrebbe dovuto ricavarsi un ruolo primario nel mondo. Alla luce di tale condizionamento storico e ideologico, è lecito chiedersi se la censura fascista abbia manipolato alcuni aspetti dell’evento, tramandandoli ai posteri in modo diverso rispetto a quanto realmente accaduto. In particolare, a quasi un secolo dalla distruzione, sorge lecitamente il dubbio sulla versione ufficiale del regime, che vorrebbe l’eruzione come un evento senza vittime mortali, sventate grazie all’efficienza dei soccorsi.

Anzitutto, è necessario specificare che tale ipotesi risulta possibile. Come sappiamo dalle riprese dell’epoca, la colata fu abbastanza lenta da permettere ai mascalesi di mettere in salvo non solo la vita, ma perfino masserizie, preziosi e oggetti personali, che portarono con sé una volta sfollati nei Comuni vicini (spesso ospiti di parenti e amici). Pertanto, non è impossibile che, anche grazie all’operato delle autorità, la popolazione sia riuscita a fuggire in massa senza subire perdite. Tuttavia, tale verità storica scricchiola da più parti.

Come ricostruito da Santo Scalia nel suo articolo “Il giallo di quelle vittime (2 o 5?) della lava a Mascali nel 1928. “Rumors” dall’estero o censura del Regime?” pubblicato sul blog Il Vulcanico[1], il quotidiano palermitano L’Ora e quello torinese La Stampa in due articoli rispettivamente dell’8 e del 9 novembre 1928 parlarono di due vittime, rilevandole in una coppia di anziani rimasta in casa e poi travolta dal crollo dell’abitazione, inghiottita dal fiume lavico. La stampa estera, inoltre, riportò nei giorni seguenti la cronaca di altri morti, tre uomini che cercarono di recuperare beni personali ma furono poi travolti dalla lava, e addirittura di due suore ricoperte dalla colata.

Possiamo formulare due ipotesi. La prima è che alcuni decessi si siano effettivamente verificati e siano stati riportati dai più pronti giornali dell’epoca per poi venire censurati del regime. In questo caso i mezzi di comunicazione esteri avrebbe riportato un fatto vero, ma distorcendolo con dettagli inusitati come il fatto che le vittime erano religiose. Il resoconto di altre persone travolte in seguito dalla lava potrebbe quindi essere una mera esagerazione. La seconda ipotesi è che nessuno sia stato travolto dalla lava e che i giornalisti dell’epoca – italiani e stranieri – abbiano prestato l’orecchio a voci popolari che circolavano nella confusione dell’epoca, frutto del clamore che un tale fatto provocò nella cittadinanza.

A tale (finora parziale) ricostruzione storica desidero aggiungere una testimonianza che proviene dalla mia storia di famiglia. Mia nonna Rita Di Prima (classe 1947) riporta che il proprio nonno materno, di nome Filippo Serrano, morì di spavento, probabilmente stroncato da un infarto, nel vedere la lava circondare la propria abitazione nella campagna mascalese. I suoi familiari, invece, riuscirono a salvarsi. L’oralità della fonte esige di trovare conferma in ulteriori testimonianze, ma pare che una vittima dell’eruzione, anche se indiretta, ci sia stata. È necessario, pertanto, ristabilire la verità storica su quanto accaduto: solo così la memoria dell’evento potrà essere liberata da un’immagine collettiva che risente ancora oggi della narrativa propagandata dal regime fascista.

Mario Lo Iacono

 

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