Maxi operazione antimafia all’alba el messinese. Sono 150 i poliziotti entrati in azione in sei province, 5 delle quali siciliane, per eseguire 15 arresti e smantellare una organizzazione mafiosa che da Barcellona Pozzo di Gotto nel messinese si ramificava in quasi tutta la Sicilia e fino a Vibo Valentia.
Dalle prime luci dell’alba, la Polizia di Stato di Messina, nell’ambito della vasta operazione contro la criminalità organizzata barcellonese, è impegnata nell’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Messina, su richiesta dalla locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, a carico di 15 soggetti.
Sono tutti ritenuti responsabili, a vario titolo e con vari livelli di responsabilità, dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, peculato, trasferimento fraudolento di valori, violazione della pubblica custodia di cose e sottrazione di cose sottoposte a sequestro.
Per le operazioni di polizia giudiziaria – coordinate dalla Squadra Mobile della Questura di Messina e dal Commissariato di P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto – sono impiegati circa 150 agenti della Polizia di Stato, tra cui personale delle Squadre Mobili di Palermo, Catania, Siracusa, Enna e Vibo Valentia; delle S.I.S.C.O. di Palermo, Catania e Messina; del Reparto Prevenzione Crimine “Sicilia Orientale”; del Reparto Cinofili della Questura di Vibo Valentia; dei Commissariati di Polizia della provincia di Messina.
Gli elementi acquisiti hanno disvelato l’esistenza e la operatività di una ben articolata compagine delinquenziale, di matrice mafiosa, dedita ai delitti, di estorsione, peculato, trasferimento fraudolento di valori, violazione della pubblica custodia di cose e sottrazione di cose sottoposte a sequestro, commessi con l’aggravante del metodo e della finalità mafiosi, attraverso la gestione illecita di un’impresa, con sede a Barcellona P.G., nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, smaltimento di rifiuti speciali e demolizione dei veicoli.
L’impresa, a sua volta, era già destinataria di diversi provvedimenti giudiziari di sequestro e confisca, devenuti definitivi, all’esito di procedimenti penali e di misure di prevenzione antimafia. In particolare, all’esito delle indagini già coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina, il 16 giugno del 2011, era stato disposto il sequestro, dal G.I.P. di Messina, della medesima azienda, cui aveva fatto seguito un primo provvedimento di confisca da parte del G.U.P., nel primo grado di giudizio, in data 31 ottobre 2012, confermato dalla Corte d’ Appello di Messina il 28.10.2014 e nuovamente confermato, dopo il ricorso in Cassazione e un giudizio di legittimità costituzionale, dalla medesima Corte di Cassazione, in data 11.06.2018.
Ulteriore e distinto provvedimento di confisca era stato disposto in data 11.6.2014 anche dal Tribunale di Messina-Sezione Misure di Prevenzione, nell’ambito del procedimento di prevenzione, su conforme proposta della Direzione distrettuale antimafia di Messina, con provvedimento ablativo, confermato dalla Corte d’Appello in data 3.11.2016 e, poi, dalla Corte di Cassazione il 6.07.2017. Sin dal primo provvedimento di sequestro, la ditta era stata affidata all’amministrazione di un commercialista, nominato amministratore giudiziario nel mese di giugno 2011.
I citati provvedimenti giudiziari avevano riconosciuto la riconducibilità dell’impresa alla c.d. “famiglia mafiosa barcellonese”, essendo stata gestita da un noto pregiudicato per reati di mafia, figlio della titolare intestataria dell’impresa, ritenuto esponente apicale, attualmente detenuto, dovendo scontare una pena definitiva proprio per il reato di cui all’art. 416-bis cp.
Tuttavia, nonostante i diversi provvedimenti di sequestro e confisca, le attività di indagine hanno messo in luce un inquietante quadro fenomenico, riflettente la posizione dominante del medesimo capo mafia barcellonese, nella gestione dell’attività imprenditoriale sottrattagli, per effetto dell’intervento di decisioni giudiziarie, divenute definitive; e ciò pur a fronte di una amministrazione giudiziaria formalmente insediata da più di 13 anni per la gestione dell’impresa.
Gli elementi indiziari raccolti, allo stato, consentono di ritenere che lo stesso, quale esponente di vertice della cosca mafiosa locale dei barcellonesi -cui l’impresa è strettamente collegata per le attività criminali strumentali alle finalità dell’organizzazione medesima- abbia gestito, quale “titolare di fatto”, l’impresa sottoposta ad amministrazione giudiziaria.
Secondo quanto emerso nel corso delle indagini, ciò sarebbe stato reso possibile anche grazie ai comportamenti dell’amministratore giudiziario, pressocché completamente asservito al potere mafioso del clan, nei cui confronti avrebbe manifestato riverenza e compiacenza, omettendo l’adempimento dei doveri correlati all’esercizio delle sue funzioni.
Più nel dettaglio, l’attività investigativa ha consentito di ricostruire il modus operandi degli indagati al fine di creare illeciti guadagni, attraverso la vendita di pezzi di ricambio usati senza il prescritto titolo fiscale e lo smaltimento di rifiuti non censiti; tutto ciò grazie alla ritenuta complicità dell’amministratore giudiziario e di alcuni dipendenti, alcuni dei quali impiegati presso la ditta da oltre vent’anni.
Gli elementi di prova raccolti hanno, infatti, disvelato come l’impresa sarebbe stata utilizzata, anzitutto, quale strumento di illecito arricchimento, attraverso la quotidiana, continua appropriazione del denaro, non contabilizzato, dalle casse; conseguendo, in tal modo, il risultato della percezione, agli occhi della comunità, di un’organizzazione mafiosa in grado di gestire un’azienda, nonostante ben due provvedimenti di confisca e relativa amministrazione giudiziaria. Situazione, questa, che avrebbe consentito agli indagati di porre a segno condotte estorsive sia nei confronti del personale dipendente ritenuto non “affidabile” e per questo motivo allontanato dall’azienda, che nei confronti di altri imprenditori operanti in settori commerciali affini, avvalendosi, a tal fine, della “simbolica” presenza, quotidiana, del pregiudicato al vertice del clan e di tutti i suoi familiari, nei locali dell’impresa.
Sulla scorta del grave quadro indiziario così raccolto, il Giudice per le Indagini Preliminari, su richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina–Direzione Distrettuale Antimafia, ha applicato la misura restrittiva della libertà personale della custodia cautelare in carcere a carico di 14 indagati e la misura degli arresti domiciliari nei confronti di un altro soggetto, quasi tutti residenti o domiciliati nella città di Barcellona Pozzo di Gotto.
Quanto sopra, ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca, costituzionalmente garantito e nel rispetto dei diritti degli indagati, che, in considerazione dell’attuale fase delle indagini preliminari, sono da presumersi innocenti fino alla sentenza irrevocabile, che ne accerti le responsabilità e con la precisazione che il giudizio, che si svolgerà in contraddittorio con le parti e le difese davanti al giudice terzo ed imparziale, potrà concludersi anche con la prova dell’assenza di ogni forma di responsabilità in capo ai medesimi indagati.
I NOMI DEGLI ARRESTATI
- Giuseppe Accetta,
- Luisella Alesci,
- Salvatore Crinò,
- Natale De Pasquale,
- Tiziana Foti,
- Angelo Munafò,
- Antonino Ofria,
- Carmelo Ofria,
- Chiara Ofria,
- Giuseppe Ofria,
- Domenico Ofria,
- Salvatore Ofria,
- Fabio Salvo,
- Salvatore Virgillito (presidente dell’ordine dei Commercialisti di Catania),
- Paolo Salvo.