“Fortezza abbondante di occhi (di soldati in osservazione)”, questo potrebbe significare, più probabilmente, il toponimo “Calatabiano”
Il toponimo “Calatabiano” è uno di quelli, nel nostro territorio, che ha sempre lasciato perplessi storici e linguisti. Il significato che tutti hanno sempre riportato ha origine da Vito Amico (“Lexicon topographicum siculum”, alla voce “Calatabiano”, 1757-60). Amico vuol far derivare il toponimo dalla lingua “punica”, dall’espressione “kalghata Bian”, cioè “luogo ripido” che contiene il nome del suo fondatore “Bian”. In realtà, quel “qalaat”, “kalaat”, è arabo e il significato del toponimo sarebbe, quindi, “Fortezza, castello, di Biano”, dove “Biano” starebbe per il nome di un “kakim”, un governatore di detto castello (nessun documento, a conoscenza degli storici, però, ha mai citato alcun Biano quale governatore della nostra fortezza, pur essendo Biano, Bian, un nome non assente fra gli Arabi). Che “qalaat”, “kalaat”, significhi, dall’arabo, “fortezza”, “castello”, è fuori di dubbio; molti sono i luoghi e le città, in Sicilia, che iniziano con questo termine (Caltanissetta, Caltagirone, Calatafimi, Caltavuturo, Caltabellotta, Calascibetta, Calatrasi, ecc.) e il loro complessivo significato non presenta alcuna difficoltà da parte degli studiosi; tuttavia, su “Calatabiano”, non sono state poche le perplessità. Da quando, oltretutto, uno dei più noti storici calatabianesi, Filippo Zappalà, ebbe a ribadire (“Calatabiano”, Catania, Ed. Camene, 1955, pag. 20) l’ipotesi del “Castello di Biano”, questa non è stata più contestata e, di volta in volta, è stata, per pigra riproduzione, sempre riportata, fino ad oggi, da tutti gli studiosi (compreso me).
Poiché, col tempo, non ho più trovato del tutto convincente la soluzione data da Vito Amico e da altri, ho cercato di riflettere su qualche possibile soluzione altra, e, dopo un certo studio, mi è sembrata possibile questa mia ipotesi: il toponimo dovrebbe derivare da “qalaat”, “kalaat” (cioè, “fortezza”, “castello”) + “abu”, o, come si scriverà, anche “abi” (fra i vari principali significati, ricavabili da qualsiasi traduttore, “abbondante di”) + “ayun” (“occhi”), quindi “Q(K)alaatabuayun”, “Q(K)alaatabiayun”, latinizzato, poi, in “Calatabiano”, e cioè “Fortezza (Castello) abbondante di occhi (di soldati in osservazione)”, occhi, soldati, osservanti (a sottolineare, con il loro principale, peculiare, atteggiamento) quel tratto fondamentale della viabilità siciliana in cui il Castello di Calatabiano ha trovato la sua collocazione, al di sopra del fiume Alcantara, non lontano dalla di questo foce, nei pressi di Taormina, sul centrale e necessario da difendere tratto viario Catania-Randazzo-Taormina-Messina.
Tanto è vero che la “Treccani”, alla voce “Abu”, fra l’altro, scrive: “…nel caso di nomi geografici i composti con Abu (o dialettalmente talora Bu), se non sono semplicemente la kunyah di personaggi il cui ricordo abbia stretto legame con la località in questione (p. es. kunyah d’un santo colà sepolto), sogliono indicare qualche peculiarità fisica del luogo o l’abbondanza di talune specie di piante o di animali o di minerali (anche di altre cose varie, diremmo noi; n.d.a)…In arabo letterario questo Abu diventa Abi al caso genitivo…”. Ad esempio, riportiamo noi, “Abukir”, dove avvenne la famosa battaglia, significa, propriamente, “luogo abbondante di pece”.
La mia, ovviamente, è un’ipotesi, sul significato del toponimo “Calatabiano”, ma ben particolarmente si addice alle caratteristiche del luogo e la costruzione linguistica da me data è funzionale e ha in sé senso.
Antonino Alibrandi