Emigrazione siciliana: una storia da riscrivere -
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Emigrazione siciliana: una storia da riscrivere

Emigrazione siciliana: una storia da riscrivere
Lo svolgimento di un corso di formazione per giornalisti a Noto, patrimonio dell’umanità proclamato dall’Unesco nel 2002 assieme ad altri sette Comuni, Caltagirone, Catania, Militello Val Catania, Modica, Palazzolo Acreide, Ragusa e Scicli, tutti quanti facenti parte della suddivisione amministrativa di origine araba denominata “Val di Noto”, e che, come splendida cornice, ha avuto un gioiello dell’architettura netina quale il teatro intitolato alla cantante  lirica Tina Di Lorenzo,è stata l’occasione per presentare un lungo lavoro di ricerca sul fenomeno dell’emigrazione siciliana, avvenuta dopo la cosiddetta Unità d’Italia, purtroppo presente ancora oggi accanto ad altri fenomeni di immigrazione sulle nostre coste da parte di popolazioni provenienti dal continente africano ed asiatico.
L’analisi dei flussi migratori dalla Sicilia verso soprattutto gli Stati Uniti d’America è stata effettuata da Marcello Saija, messinese, docente dell’Università di Palermo, e da Federica Cordaro, docente presso l’Università di Agrigento: Saija è anche curatore, per incarico dell’Università palermitana, del Museo regionale dell’emigrazione. Il loro lavoro, su analisi dei registri tenuti dalla Fondazione Ellis Island, è stato inaugurato proprio il 29 giugno nei locali del teatro, con una lunga serie di pannelli ricchi di dati, documenti e fotografie.
I lavori sono stati aperti da Pippo Cascio dell’Agirt (Associazione dei giornalisti radiotelevisivi e telematici) operante nel siracusano e promotrice del premio “Penna Maestra”, istituito nel 2018, che si è soffermato sugli effetti importanti di alcuni avvenimenti netini come l’infiorata, dedicata quest’anno proprio al tema dell’emigrazione, e sul felice incontro, avvenuto dopo il terribile terremoto del 1693, tra il mare ed il monte, tra la cultura marinara e quella contadina, creatrice del rinnovo urbanistico ed architettonico nella Val di Noto.
Interessante l’intervento del sindaco, Corrado Bonfanti, che si è soffermato sui dati dell’emigrazione (ben 1149 emigranti) e sulla necessità di dover necessariamente parlare di “Val di Noto”, un territorio riconosciuto anche nei tempi antichi, piuttosto che di una generica “Sicilia del Sud Est” come si vuol oggi denominare parte di questa zona della Sicilia.
“Oggi parlare di storia dell’emigrazione – ha chiarito Saija – significa dover parlare di studio dell’emigrazione siciliana per una corretta interpretazione del fenomeno a partire sin dalle origini stesse con due diversi momenti nella prima e nella seconda metà dell’800”.
Uno dei fattori importanti fu la forte richiesta da parte dei paesi d’oltreoceano di manodopera, con navi che trasportavano uomini, non più merci, con una sensibilissima riduzione dei lunghi tempi dell’attraversata atlantica con l’avvento delle navi a vapore rispetto a quelle con le sole veIe. Un sistema diffuso di agenti sparsi in tutto il territorio (circa 5 mila), con una percentuale di guadagno del 3 per cento sul costo del biglietto, e con una marea di sub agenti coi quali suddividere a metà il guadagno, invogliava con tutti i mezzi a partire, anche chi non aveva neanche un soldo in tasca; entrava infatti in soccorso un prestito che garantiva il biglietto prepagato con l’obbligo, appena messo piede in suolo americano, di firmare un contratto davanti al notaio che garantiva per tutto il tempo necessario rimborso a favore del “boss del lavoro” che aveva anticipato il costo, primo fenomeno di globalizzazione mondiale.
“Ogni emigrazione – ha quindi affermato Saija – non è mai identica con la precedente e la successiva; c’è diversità tra quella di Ragusa e di Siracusa, diversa anche quella proveniente dalle zone del latifondo con residui ancora feudali”. Molto importante fu il ruolo svolto dalle “Società di mutuo soccorso”, sorte sul suolo americano, che aiutava i nuovi arrivati per l’ottenimento della cittadinanza americana, vera garanzia dei diritti.
“La partenza avveniva – ha esordito Federica Cordaro – dai porti di Messina, Palermo ed anche Napoli, ed il viaggio durava da 2 a 4 settimane in base alle condizioni del tempo durante la traversata. Una delle navi più usate fu la nave Italia e si sbarcava ad Ellis Island, l’isola delle lacrime e della speranza, con una sistemazione nelle stive prive di tutto e con l’acqua per bere dal colore indefinito”.
Anche chi, per qualche motivo, veniva respinto e rimandato indietro con la stessa nave, tentava buttandosi in mare di raggiungere la riva con le conseguenze che si possono immaginare.
Nel tempo i requisiti per l’accesso sul suolo americano diventano sempre più stringenti: oltre la mancanza di malattie, la capacità si saper leggere e scrivere: Le comunità di emigrati, man mano che aumentano di numero e che si concentrano in alcune cittadine, rivivono le esperienze originarie con le feste patronali sempre nelle medesime date, del tutto simili a quelle dei loro paesi di origine.
A conclusione del corso è avvenuta la consegna di vari riconoscimenti a personalità del giornalismo.
Domenico Pirracchio

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