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Verso un carcere solo di sicurezza?

Verso un carcere solo di sicurezza?

L’ipotesi di riorganizzazione del Ministero della Giustizia destruttura il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, mentre un gruppo di lavoro propone la sua abolizione e quella della Polizia penitenziaria per creare un carcere ed una polizia dei pubblici ministeri senza direttori. Sulla delicata questione interviene il Sindacato Direttori Penitenziari

 Il Ministro della Giustizia Orlando ha convocato i sindacati, lo scorso 30 settembre, per discutere le proposte redatte dai gruppi di lavoro istituiti per la predisposizione del Regolamento di riorganizzazione del Ministero della Giustizia.

Il Si.Di.Pe. (Sindacato Direttori Penitenziari), che è il sindacato più rappresentativo del personale della Carriera dirigenziale penitenziaria, con un’articolata lettera inviata al Guardasigilli ed al Presidente del Consiglio Renzi ha confutato, con fondate argomentazioni giuridiche e di politica penitenziaria, le proposte formulate dai gruppi, esprimendo “la propria più assoluta contrarietà poiché le stesse, ben lungi dal ricercare assetti organizzativi volti a semplificare ed efficientare il sistema penitenziario, scardinano e destrutturano completamente il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per portare, presso altri Dipartimenti, competenze e funzioni maturate, nel corso di decenni, all’interno del D.A.P. e attribuite per legge al personale della Carriera dirigenziale penitenziaria, sopprimendo posti di funzione, per riprodurli, anche con la creazione di analoghe o altre direzioni generali, in altri Dipartimenti”.

Secondo quanto dichiarato dal Segretario nazionale del Si.Di.Pe., Rosario Tortorella, l’unico risultato che tali proposte produrrebbero non è la riduzione della spesa pubblica, che come già rappresentato si può realizzare in ben altro modo, ma la sottrazione di posti di funzione, attribuiti dalla legge al personale della Carriera dirigenziale penitenziaria, a magistrati fuori ruolo che, notoriamente, occupano più posti di funzione negli altri Dipartimenti, e che, ovviamente, hanno maggiore difficoltà a giustificare l’esercizio di funzioni amministrative al D.A.P. perché demandate espressamente dalla legge a dirigenti di diritto pubblico, cioè ai dirigenti penitenziari.

«Non si può non ricordare – continua il rappresentante del sindacato –, peraltro, che la sottrazione di magistrati alla giurisdizione spesso comporta tempi troppo lunghi di comprensione del complesso sistema penitenziario rispetto alle necessità di azioni operative urgenti e, peraltro, contribuisce al triste primato che il nostro Paese ha in Europa, cioè quello del più alto numero di condanne inflitte dalla Corte di Strasburgo per violazioni dell’articolo 6 §1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, divenute più frequenti dopo l’introduzione nell’art. 111 della Costituzione del principio della “ragionevole durata” del processo».

Se a tutto ciò si aggiungono le allarmanti notizie di stampa relative a proposte di un altro gruppo di lavoro presso Palazzo Chigi, coordinato da un noto pubblico ministero e del quale farebbero parte anche altri noti magistrati, che avrebbe prospettato la soppressione del D.A.P., la trasformazione del Corpo di polizia penitenziaria in una “polizia della giustizia”, presente, oltre che in carcere, anche sul territorio, il reclutamento dei dirigenti direttamente tra gli attuali commissari della polizia e il collocamento degli attuali direttori delle carceri in un ruolo ad esaurimento, il quadro che ne discende è davvero allarmante.

La nota del sindacato, mette in evidenza anche un ulteriore punto critico: «Difatti, se a tali notizie si accostano alcune circostanze oggettive, quali il fatto che l’ultima immissione nei ruoli di direttori di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna risale al 1997, il fatto che adesso si intende ridurre il personale della Carriera dirigenziale penitenziaria attraverso la spending review, che, parimenti, da anni non si assume personale pedagogico e che, anzi, si vuole ridurlo nella corsa alla diminuzione della spesa pubblica, allora tutto sembrerebbe coincidere con l’intenzione di creare un sistema penitenziario di polizia, al servizio dei pubblici ministeri e non dei cittadini, in spregio all’art. 27 della Costituzione che impone, invece, che la pena debba avere anche una funzione rieducativa e in difformità alla Raccomandazione R (2006) 2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Consiglio d’Europa sulle Regole penitenziarie europee (adottata dal Consiglio dei Ministri l’11 gennaio 2006, in occasione della 952esima riunione dei Delegati dei Ministri) che nella PARTE V “Direzione e Personale- Il servizio penitenziario come servizio pubblico”, al n.71, stabilisce che “Gli istituti penitenziari devono essere posti sotto la responsabilità di autorità pubbliche ed essere separati dall’esercito, dalla polizia e dai servizi di indagine penale”».

La ragione di questa norma sta, evidentemente, nella dualità di finalità ed esigenze istituzionali del carcere, quella legata alla sicurezza e l’altra alla rieducazione del condannato, dualità per la quale la vigente normativa, espressione di un orientamento preciso presente negli altri Paesi democratici europei ed extraeuropei, ha voluto nel sistema penitenziario una figura professionale, quella del dirigente penitenziario, non poliziotto e non pedagogo, al quale attribuire la delicatissima funzione di governo dell’esecuzione penale.

«Se, allora, il progetto fosse davvero quello di creare un “carcere di polizia” – conclude il segretario Tortorella –, il passo successivo che ci dovremmo aspettare è l’attribuzione dell’incarico di Capo del D.A.P. a un poliziotto o ad un militare, così il processo sarebbe completo. per un carcere ed una polizia dei pubblici ministeri senza direttori. Ma, fortunatamente, per abolire il D.A.P. e fare tutto questo occorrerebbero leggi dello Stato democratico e, a parere di questa organizzazione sindacale, sarebbe fin troppo tortuoso il percorso per la loro approvazione in Parlamento».

Il Si.Di.Pe. ha chiesto al Guardasigilli di valutare approfonditamente la questione rappresentando, inoltre, che le allarmanti notizie che circolano e questa situazione di incertezza, acuita dalla mancata nomina del Capo del Dipartimento, determinano uno stato di tensione nel personale e nella dirigenza penitenziaria che, certamente, aggrava le difficoltà discendenti dal delicato momento storico che sta attraversando il sistema penitenziario italiano.

Corrado Petralia

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