Nell’ampia sala del Coro di notte dell’ex Monastero dei Benedettini, uno dei tanti requisiti dall’appena nato Stato italiano dopo l’unità, oggi sede prestigiosa di facoltà umanistiche dell’Università di Catania, in piazza Dante, è stato presentato nei giorni scorsi, di fronte ad un folto pubblico di appassionati, il volume del professore Giuseppe Guzzetta sul “Tesoro dei sei imperatori” (Giuseppe Maimone Editore, Catania – agosto 2014, pagg. 445, € 63,00).
Un lavoro certosino al quale hanno partecipato, con il proprio contributo di esperti, Giovanni Di Stefano, Maria Agata Vicari Sottosanti e Viviana Lo Monaco: ben 4472 pezzi esaminati che appartengono ad un preciso periodo dell’impero romano che abbraccia sei imperatori, da Gallieno a Probo, del III secolo dopo Cristo. Alla presentazione del libro, presente l’autore, sono intervenute diverse personalità del mondo accademico. Il professore Giancarlo Magnano di San Lio, direttore del dipartimento di scienze umanistiche, si è soffermato sulle vicende del ritrovamento rilevando l’alto valore scientifico del volume appena dato alle stampe. Nel suo intervento, il professore Massimo Frasca, direttore della scuola di specializzazione in Beni archeologici della stessa Università, ha sottolineato il coinvolgimento della stessa scuola nella stesura augurando la prossima pubblicazione di altri studi sui tanti beni archeologici esistenti in Sicilia. L’editore Giuseppe Maimone si è soffermato sull’importanza della sinergia tra le forze culturali che operano nel mezzogiorno d’Italia e sul ruolo strategico delle case editrici locali, molto più attente rispetto ai grandi gruppi editoriali alle realtà scientifiche del nostro territorio, e sulla necessaria collaborazione con l’Università di Catania e con il mondo accademico. All’incontro non ha potuto partecipare il sovrintendente del mare della Regione Sicilia, dottor Sebastiano Tusa, impegnato in Tunisia per un progetto europeo che dovrebbe coinvolgere la Tunisia.
Di particolare rilievo l’intervento del professore Ermanno Arslan, per tanti anni conservatore del Castello Sforzesco di Milano, membro dell’Accademia dei lincei ed esperto in numismatica con oltre quattrocento pubblicazioni sulla materia, e che ancora si occupa di scavi archeologici nella vicina Calabria. Arslan ha definito il volume come “un saggio storico” su un particolare periodo turbolento dell’impero romano, sulle vicende economiche e finanziarie dell’epoca pur rilevatrici dei traffici commerciali che attraversavano il mare attorno alla Sicilia e sulle monete in possesso della personalità che era imbarcato sulla nave affondata sulle coste prospicienti la costa meridionale dell’isola, soprattutto d’argento e certamente coniate in Gallia, usate principalmente per gli scambi commerciali in quanto, come sempre avvenuto in ogni tempo, quelle in oro venivano tesaurizzate nei forzieri dai possessori. Termini come l’inflazione e le crisi monetarie non sono – ha chiarito il professore Arslan – estranee neanche nel mondo antico, pur nell’impero romano dove, accanto a zecche autorizzate esistevano anche zecche clandestine, o di periferia dell’impero create per gli scambi commerciali locali, mentre vi erano anche tentativi di speculazione come quella portata avanti da Gallieno con la percentuale d’argento nelle monete portata dal 30-35 per cento al 3-5 per cento.
Ha concluso i lavori proprio il professore Giuseppe Guzzetta che si soffermato sulle difficoltà riscontrate per le analisi sul materiale di conio utilizzato sulle monete ritrovate, oggetto dello studio, ricordando anche l’editto imperiale di Costantino il quale, nel 355, proibiva l’esportazione delle monete verso l’Africa settentrionale.
Domenico Pirracchio