Valentina, una scienziata giarrese -
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Valentina, una scienziata giarrese

Valentina, una scienziata giarrese

Valentina trentenne, giarrese, dai modi svagati, sorridente e sempre indaffarata, la settimana scorsa ha conseguito, presso l’Università di Bordeaux, il dottorato con la tesi Produzione di nanoparticelle di idrato di silicato di calcio tramite una tecnologia a base di acqua supercritica. Era sola, i genitori la seguivano da casa, rammaricati per l’obbligatoria assenza ma emozionati.

Andiamo con ordine. Valentina Musumeci si è diplomata presso il Liceo Scientifico di Giarre, sotto la presidenza del garbatissimo prof. Mario Catanuto. Si è iscritta a Catania   alla facoltà di Fisica laureandosi in Fisica della Materia. Durante il corso con il programma Erasmus ha condotto due stage in due laboratori di ricerca CNRS in Francia, a Tolosa e a Bordeaux. Ha vinto una borsa di studio di eccellenza per un dottorato della durata di tre anni, cofinanziato dall’ Università di Bordeaux e dei  Paesi Baschi. Il risultato è che ha lavorato in entrambe le accademie, ottenendo il dottorato dalle due Università.

Il suo campo di ricerca è quello della chimica-fisica dei materiali. Valentina mi chiarisce che produrre dei materiali in laboratorio, vuol dire che si possono controllare le loro proprietà termiche, meccaniche, elettriche ecc. e quindi poterli utilizzare in vari campi di applicazione. In tutti i progetti in cui ha lavorato, ha sempre prediletto dei progetti legati alla tutela dell’ambiente, ha lavorato con materiali utili per la purificazione dell’acqua, o da utilizzare nei sensori per individuare inquinanti nell’aria. Il nucleo della sua tesi è quella di sviluppare dei materiali da costruzione più ecologici (che possano anche, per esempio, aiutare a mantenere il calore nelle case l’inverno, ma riflettere i raggi solari l’estate, ecc.).

Dopo la tesi ha fatto un anno di postdoc con l’intento di valorizzare degli scarti industriali da riciclare per produrre dei materiali a base di carbonio da utilizzare nelle batterie e per l’accumulo di energia. Molto importanti sono i progetti legati alla produzione di energia, durante la tesi ha lavorato, infatti, su un prototipo di una batteria a base di cemento, nell’idea di “prendere” l’energia “gratis” direttamente dal muro di una casa.

Ma non è finita, ha avuto l’opportunità di fare un periodo di ricerca di 3 mesi all’Università di Berkeley, in California, nata da una collaborazione instaurata durante una conferenza internazionale che ha tenuto a Praga.

Ad oggi ha partecipato a 7 congressi internazionali, dove ha presentato il suo lavoro di ricerca, ed è autrice di diverse pubblicazioni scientifiche e di un brevetto sull’invenzione del metodo di produzione di materiali che farebbe risparmiare molta energia (è quindi più ecologico) rispetto al processo esistente.

Alla mia domanda se meglio l’Università di Catania o le altre che ha conosciuto, mi risponde: “non posso veramente fare il paragone tra Università italiana e francese, perché non ho mai frequentato o studiato in Francia ma ho solo fatto esperienze lavorative nei laboratori di ricerca del CNRS. Ad ogni modo, quello che ho capito, lavorando con studenti di diverse nazionalità, è che noi studenti italiani abbiamo un’ottima preparazione di base (riconosciuta anche all’estero, è per questo che gli studenti italiani sono molto ricercati ed apprezzati). Una differenza tra Francia ed Italia è forse legata al tipo di opportunità. Gli studenti francesi hanno molte più opportunità, ed anzi sono “quasi costretti” a fare esperienze all’estero durante il loro percorso universitario”.

Alla domanda, ancora, su come le donne possono incidere sulla ricerca scientifica e del suo utilizzo, afferma: “Nella mia esperienza in Francia non c’è una discriminazione nei confronti delle donne. Sicuramente le donne possono avere ed hanno un ruolo preponderante nel mondo della ricerca, con una maggiore attenzione alle tematiche ambientali, a tutela delle nuove generazioni”. Ed adesso il lavoro? Mi rassicura, dal primo aprile prossimo comincerà un contratto a tempo indeterminato nell’azienda conosciuta a livello mondiale “Vinci” nel ruolo di Ingegnere di Ricerca e Sviluppo con l’obiettivo di trovare nuovi materiali, utilizzare e valorizzare scarti industriali da riciclare per creare nuovi materiali da costruzione a basso impatto di CO2 (giusto per dare un idea, l’8% della produzione di CO2 a livello mondiale ogni anno è dovuta alla produzione del cemento)”.

Valentina, nata nel post femminismo, ha colto quello che nel 1984, dopo la nube di Cernobyl, le donne si sono chieste: siamo responsabili del fare della scienza? Le donne possono avviare un diverso modello di scienza e di responsabilità decisionale? Valentina, che all’epoca non era ancora nata, lo sta già facendo.

Ho desiderato raccontare la storia della giovane fisica Valentina Musumeci, certamente perché la conosco, perché è di Giarre e siciliana, e perché non desidero contrappore gli studi umanistici a quelli scientifici, Dio  ce ne scampi. Ricordo che i nostri umanisti erano, seppure tutti maschi, enciclopedici, i loro studi si fondavano sulle lettere, sulle scienze e sugli studi giuridici, il sistema teneva tutto.  Galilei lo si studia, ancora, durante le ore di filosofia, di fisica e di letteratura.

Quello che ho raccontato, invece, è la storia delle donne con la passione in testa   delle scienze, che per affermarsi hanno subito un ritardo di circa un secolo rispetto alle donne di letteratura e di storia. Era più “facile” a fine ottocento, per chi aveva la fortuna di sapere leggere, ritagliarsi in famiglia uno spazio fisico tutto per sé, bastava l’intelligenza, l’interesse, lo studio e la fatica di sottrare e reperire qua e là i libri per le loro ricerche, producendo poi una magnifica letteratura. Più complicato è stato entrare nel laboratori, dove gli uomini le cacciavano perché ritenute non abbastanza intelligenti, in fondo perché ritenute delle concorrenti da tenere lontane. Simbolico è il massacro di Ipazia, scienziata alessandrina, nel 415. Se le umaniste hanno iniziato ad imporsi in modo corale alla fine dell’ottocento, le scienziate di fatto hanno dovuto aspettare la fine della seconda guerra mondiale.

Meglio ancora la fine dell’impostazione della materia Applicazioni Tecniche, delle scuole medie inferiori, che separava fino agli anni settanta le ragazze dai ragazzi, le prime in classe con l’uncinetto ed il ricamo, i secondi nei laboratori ad applicare la piccola scienza. Le nostre ragazze di scienza sono partite in ritardo, ma hanno recuperato con caparbietà ed onore. Grazie Valentina, sei tutte noi.

Nunziatina Spatafora

 

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