L’analogia fra la guerra in mare e quella nel deserto è stata sottolineata con vivacità di stile dallo scrittore australiano Alan Moorehead, allora corrispondente in Egitto per il Daily Express. “Ogni automezzo o carro armato” – scriveva – “costituiva una singola unità”, proprio come un cacciatorpediniere, e ogni squadrone di carri o di artiglieria compiva ampi percorsi attraverso il deserto, proprio come una squadra navale svanisce oltre la linea dell’orizzonte… Quando si entrava in contatto col nemico, si manovrava intorno a lui per trovare il punto migliore per colpire, proprio come due flotte quando si mettono in posizione per entrare in azione… Non c’era una linea del fronte… La regola aurea era sempre che le forze operanti nel deserto dovevano essere mobili… Andavamo a caccia di uomini non di terra, come una nave da guerra dà la caccia ad un’altra nave da guerra e non dà la minima importanza al mare sul quale si svolge l’azione”.
Anche una qualità intangibile si rendeva necessaria: un “senso nel deserto” che insegnasse ad ognuno come comportarsi per aggirare le difficoltà di un ambiente così ostile, in modo da sfruttare o eludere nel miglior modo possibile. Gli uomini in forza al Corpo di spedizione britannico nel deserto occidentale, ormai bene assuefatti, avevano acquisito questo importantissimo sesto senso e il corrispondente Moorehead descriveva alcuni dei modi in cui se ne servivano: “Era sempre il deserto che stabiliva l’andatura, segnava la direzione e fissava il programma. Il deserto presentava tre gamme di colori: il marrone, il giallo e il grigio. L’esercito di conseguenza si serviva di questi colori per mimetizzarsi. Non c’erano praticamente strade: i veicoli erano quindi forniti di enormi copertoni con battistrada molto in rilievo. Niente, all’infuori di qualche raro uccello, si muoveva veloce nel deserto. L’esercito, per attività di carattere ordinario, teneva un’andatura di 8 o 9 km all’ora. Il deserto era avaro di acqua e questa era spesso salmastra: allora gli uomini – Generali e soldati semplici – venivano messi a razione: circa quattro litri di acqua al giorno quando si trovavano in posizioni avanzate”.
Concludendo, Moorehead scriveva: “Non cercavamo di rendere il deserto abitabile, né di domarlo. Trovavamo la vita nel deserto primitiva e nomade e in modo primitivo e nomade l’esercito viveva e faceva la guerra”. Agli italiani comodamente installati a Sidi el Barrani, dopo la fulminea operazione iniziata il 13 settembre del 1940, il modo inglese di adattarsi al deserto appariva del tutto inconcepibile. Ne avrebbero appreso i vantaggi, a costo di grandi sacrifici, a partire dal dicembre 1940.
Prima di allora, due eventi con implicazioni dirette per la campagna nordafricana si verificarono in un’altra zona del mediterraneo. Uno sarebbe stato di grande aiuto per gli inglesi, l’altro comportò per loro diversi problemi. Durante la notte tra l’11 e il 12 novembre 1940 fu messa in atto dal Comandante in capo della Mediterranean Fleet, Ammiraglio Andrew Cunningham, l’operazione Judgement. Inizialmente l’attacco era stato pianificato per il 21 ottobre ma, a causa di problemi di sicurezza a bordo dell’Illustrious, fu posticipato all’11 novembre.
Gli aerosiluranti dell’Ammiraglio Cunningham avevano prodotto danni ingenti alla flotta italiana. Il bottino britannico fu di 3 corazzate seriamente danneggiate, 59 morti e 600 feriti. Questo evento contribuì ad incrementare il potere della flotta britannica nel mediterraneo del sud, provocando un ridimensionamento delle operazioni delle unità della Regia marina. Vi fu, fino alla fine del 1941, una situazione di inferiorità italiana con mancati attacchi ai convogli inglesi che si dirigevano ad Alessandria e una scarsa difesa delle unità navali che si dirigevano nei porti di Tripoli, Bengasi e Tobruk.
Le navi da battaglia “Cesare” e Cavour” in navigazione
L’altro evento si era verificato poche settimane prima. Il 28 ottobre 1940 Benito Mussolini aveva dichiarato guerra alla Grecia. L’invasione della Grecia costituì un problema per i britannici e pose l’establishment politico inglese di fronte alla necessità di tener fede all’impegno assunto con i greci nell’aprile del 1939 da Neville Chamberlein: aiutarli con uomini e mezzi se fossero stati attaccati. Nonostante le risorse belliche inglesi fossero fortemente ridotte, Churchill sentiva che si doveva mantenere l’impegno preso. Così telegrafò al primo ministro greco, Ioannis Metaxas: “Le daremo tutto l’aiuto che ci sarà possibile”.
L’offerta di Churchill era destinata a prolungare la guerra del Nord Africa. Un aiuto alla Grecia poteva infatti provenire solo dalle risorse di uomini e mezzi stanziati in Medio Oriente. Una visita al Cairo di Antony Eden (Ministro della Guerra) mutò decisamente la situazione di stallo militare che si era venuta a creare dopo la conquista italiana di Sidi el Barrani. Il Ministro della Guerra propose di far confluire in Grecia tanto materiale che, come disse Wavell, “dovetti rivelargli ciò che avevo in mente, per impedire di venire spogliato in modo tale da rendere possibile una offensiva”.
Eden restò così impressionato da quanto gli comunicò Wavell che buttò giù un appunto del seguente tenore: “L’Egitto è più importante della Grecia” e trasmise il piano segreto elaborato dal Generale a Churchill. Con grande meraviglia di Wavell, il primo ministro ne fu letteralmente affascinato. Unendone i dettagli, Churchill avrebbe commentato: “Facevo le fusa come sei gatti”. Il piano si basava su un’informazione riferita dagli esploratori e confermata da fotografie aeree: gli italiani avevano lasciato un vuoto di circa 25 km, privo di fortificazioni e pattugliamenti, fra due dei sette avamposti costruiti come scudo protettivo di Sidi el Barrani. I campi in questione erano Nibeiwa, a sud di Sidi el Barrani e Bir el Raiba. Il piano richiedeva l’uso della 4ª divisione indiana e la 7ª corazzata. Entrambe avrebbero dovuto muovere attraverso il varco tra Nibeiwa e Bir el Raiba. Wavell non contemplava la possibilità di lanciare un’offensiva di vasta portata.
Il suo piano consisteva in un’incursione di non più di cinque giorni con Buq Buq a 40 km a ovest di Sidi el Barrani, come punto di arrivo. I suoi obiettivi erano tre: testare la forza italiana, fare qualche migliaio di prigionieri e infliggere loro un colpo decisivo prima dell’arrivo dei tedeschi. Alle 7 del mattino del 6 dicembre 1940 iniziò l’operazione Compass. Anche la fortuna aiutò gli inglesi. Il tenente colonnello Vittorio Revetra’ mentre si trovava in volo avvistò le truppe corazzate inglesi in movimento. Revetra segnalò prontamente al Maresciallo Graziani l’avanzamento inglese verso Marsa Matruh. Il Governatore della Libia gli ordinò di redigere un rapporto scritto. Successivamente il Maresciallo affermò di avere prontamente avvisato i suoi ufficiali sul campo, ma che nessuna iniziativa fu presa. Il 9 dicembre 1940 l’attacco aveva riportato i primi successi e il 10 Sidi el Barrani era in mano inglese. Al Cairo Wavell si accorse presto che la sua incursione di cinque giorni aveva assunto l’importanza di una campagna di notevoli proporzioni.
L’11 dicembre erano arrivati a Buq Buq dove all’inizio si pensava dovesse avere termine l’offensiva britannica. Ma gli inglesi continuarono nella loro inarrestabile marcia. Il 16 dicembre, una settimana dopo l’inizio dell’operazione Compass, avevano preso Sollum e Passo Halfaya ed entravano in Libia. Il Generale Wavell confessò all’Ammiraglio Cunningham, in occasione di una ispezione alla centrale operativa presso il Cairo: “Non avrei mai immaginato che le cose si sarebbero svolte in questo modo”. Churchill era molto soddisfatto del lavoro di Wavell ma i rapporti tra i due uomini non sarebbero stati di lunga durata. Anche i legami tra Mussolini e Graziani si andavano deteriorando. Il Maresciallo in una lettera alla moglie disse: “Con le unghie non si possono spezzare le corazze”.
Mussolini di fronte al crollo dell’esercito italiano ebbe a dire: “Ecco un uomo col quale non posso arrabbiarmi perché lo disprezzo”. Il duce riponeva però la sua fiducia in un combattente del Fronte Africano: il generale di Corpo d’Armata Annibale Bergonzoli, comandante di Bardia, la cui barba rossa gli aveva valso il nome di “Barba elettrica”. Tutti erano abbastanza fiduciosi sulla tenuta della Roccaforte di Bardia. La base aveva una guarnigione di circa 45.000 uomini ed era circondata da una misura difensiva di 28 km circa. Il 2 gennaio 1941 i bombardieri inglesi piombarono su Bardia. Per tutta la notte la RAF continuò i bombardamenti, quindi all’alba del 3 gennaio gli australiani avanzarono con successo. Dopo un massiccio bombardamento da parte delle forze della Royal Navy, composte da tre corazzate, compresa la nave ammiraglia Warspite, dell’Ammiraglio Cunningham e sette cacciatorpedinieri, il comandante di Bardia fu costretto a capitolare.
Il 4 gennaio 1941 veniva ammainata la bandiera italiana. Il Generale di Corpo d’Armata Hans Ferdinand Geisler, comandante del X Corpo aereo della Luftwaffe, dopo la presa di Bardia e precisamente il 10 giugno 1941, si installò nel suo nuovo quartier generale situato nell’Hotel S. Domenico di Taormina. In quello stesso giorno fu avvistato un convoglio britannico con una scorta di navi da guerra. Erano in rotta da Gibilterra verso est con truppe ed aerei per la base di Malta. Fra queste navi vi era l’Illustrious (23mila tonnellate) i cui aerosiluranti erano entrati in azione a Taranto.
Portaerei inglese Illustrious
Una delle più recenti portaerei inglesi era dotata di un ponte superiore corazzato e costituiva una tremenda minaccia per i convogli di rifornimenti italiani. Geisler ricevette un messaggio da Berlino: “Illustrious muss sinken” (“L’Illustrious deve essere affondato”). Alle 12.28 il capitano Denis Boyd, sul ponte della portaerei era molto preoccupato, pochi minuti prima uno stormo dei suoi caccia Fulmar aveva fatto una rapida puntata verso la Sicilia inseguendo due aerosiluranti italiani Savoia. Sul ponte superiore, un altro gruppo di Fulmar era pronto a prendere il volo in sette minuti. In quei brevi sette minuti la sorte della flotta britannica nel Mediterraneo cambiò completamente. Diretti verso il convoglio, a un’altezza di 3.600 metri, arrivarono una quarantina di Junkess, bombardieri da media altezza, e Stuka, bombardieri in picchiata. Gli Stuka piombarono in un attacco perfettamente coordinato sull’Illustrious. Sei bombe da 450 kg colpirono la portaerei. Una penetrò attraverso il ponte superiore ed esplose nel deposito vernici. Un’altra scoppiò sul cannone n. 2 di tribordo, strappandolo dal suo basamento e uccidendone gli addetti. Una terza colpì la piattaforma di lancio. Altre bombe esplosero nella parte centrale della nave, provocando seri danni.
Denis Boyd si trovava in una posizione critica: col ponte superiore fuori uso, nessuno dei suoi aerei era nella possibilità di atterrare o decollare. Il comandante ordinò di fare rotta per Malta a 21 nodi all’ora dove riuscì ad arrivare alle 22.15. I problemi non erano terminati perché alcuni aerei Stuka diedero il benvenuto alla portaerei ormeggiata sul molo. Due settimane dopo l’Illustrious riuscì a raggiungere Alessandria ma rimase inutilizzabile per undici mesi. Il bombardamento dell’unità navale inglese segnò l’inizio di una intensa azione aerea su Malta, che durò quasi due anni e fece dell’isola uno dei bersagli più colpiti durante tutto il secondo conflitto mondiale con lo sgancio di più di 14.000 tonnellate di bombe.
Fu preparato un piano militare per la conquista dell’isola chiamato operazione C3 Hercules (anno progettazione 1942 ma mai attuato) che prevedeva l’invasione di Malta tramite un’operazione di truppe anfibie speciali d’assalto composte da uomini del San Marco, camicie nere, arditi e di circa nove battaglioni tedeschi, in tutto 62.000 uomini coadiuvati da 270 mezzi da sbarco e 50 natanti sotto il comando dell’Ammiraglio Vittorio Tur della Regia Marina Italiana. Nel giugno 1942 era tutto pronto ma il Generale Rommel era impegnato nell’ assedio di Tobruk e per scelta del Comando tedesco molti uomini di Kesserling furono destinati in Africa. Il 21 giugno del 1942, dopo la presa di Tobruk, sarebbe dovuto partire il piano d’invasione ma, Hitler, avverso alle operazioni anfibie, contro il volere del suo Stato Maggiore abbandonò l’idea dell’operazione commettendo uno degli errori più grandi del secondo conflitto mondiale. Gli inglesi sfruttarono Malta riuscendo a distruggere almeno il 50% dei convogli dell’asse diretti in Africa.
L’arrivo in Sicilia del Comandante Geisler e la successiva operazione militare che segnò l’impossibilità di impiego fino al maggio del 1942 della portaerei inglese Illustrious determinarono una netta ripresa della Regia Marina nel Mediterraneo del sud. La concretizzazione del lavoro iniziato dal Generale Geisler si ebbe nella notte tra il 18 e il 19 dicembre del 1941 quando fu portata a termine un’azione militare di estrema importanza (denominata operazione GA3) ad opera della X Flottiglia Mas.
La X Flottiglia Mas fu un’unità speciale della Regia Marina nata nel 1931 con il nome di 1ª Flottiglia Mas, artefice di due operazioni militai degne di nota. La prima fu quella della Baia di Suda (Baia naturale situata nella costa nord occidentale dell’isola di Creta) dove il 25 maggio 1941 furono affondati l’incrociatore pesante inglese York e la petroliera norvegese Pericles. La seconda operazione fu quella di Alessandria d’Egitto (GA3). Nel 1953 il gruppo della X Flottiglia Mas fu ricostituito con il nome di COM. SUB. IN. (Comando Subacquei ed Incursori) dipendenti direttamente dal Capo di Stato Maggiore della Marina Militare e retto da un Ammiraglio, con sede a le Grazie nella fortezza sul Varignano Porto Venere (La Spezia). L’attacco era previsto per giorno 17 dicembre ma le avverse condizioni meteo fecero ritardare l’azione di un giorno. Il 18 dicembre, con condizioni meteo favorevoli, iniziò l’operazione. L’equipaggio Durand de la Penne-Bianchi sull’SLC (Siluro a Lenta Corsa) 221 piazzò la carica esplosiva sotto la carena della nave inglese Valliant. L’equipaggio Martellotta – Marino a bordo dell’SLC nº 222 riuscì a danneggiare quattro navi tra cui la petroliera Sagona e il cacciatorpediniere Hms Jervis. L’equipaggio Marceglia – Schergat sull’SLC 223 affondò la Queen Elizabeth, che ritornerà in servizio solo nel 1944. L’azione italiana procurò agli inglesi danni di eccezionale portata.
L’impresa segnò la supremazia della flotta italiana rispetto a quella inglese specialmente per quanto riguardò una facilitazione nell’arrivo dei convogli dell’asse nei porti di Tripoli, Bengasi e, successivamente al 21 giugno del 1942, anche a Tobruk. Winston Churchill affermò: “Sei italiani equipaggiati con materiale di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare nel Mediterraneo a vantaggio dell’Asse”.
Salvatore Trovato Gangemi