Il crollo della Sicilia e la rassegnazione dei Siciliani -
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Il crollo della Sicilia e la rassegnazione dei Siciliani

Il crollo della Sicilia e la rassegnazione dei Siciliani

Dopo le continue bombe d’acque e la pioggia “monsonica” che ha afflitto la nostra Sicilia negli ultimi mesi, senza darle tregua, forse senza aver ancora finito, la natura ha presentato il conto, salatissimo. Non voglio improvvisarmi geologo; ne so quanto l’uomo della strada che ha fatto un po’ di buone “Scienze” alla Scuola Media.  Buttandola un po’ in modo letterario è come se Cerere, con cui gli antichi personificavano la stessa Terra di Sicilia, fosse ferita, esausta, invecchiata, in una parola non ce la facesse più. E ad uno ad uno tutti i manufatti che faticosamente l’uomo ha costruito nei decenni vengono giù impietosamente insieme alla stessa natura. Sono malati i fiumi, ora asciutti, ora infernali trasportatori di tutto. Sono malati i campi, in via di desertificazione. Stanno morendo boschi e macchie, devastati anno dopo anno da incendi ormai fuori controllo. Stanno morendo, a uno a uno, colli e monti, colpiti dal male oscuro del dissesto idrogeologico. Si stanno ammalando aria, acqua e terra, avvelenati da una montagna sterminata di rifiuti che l’uomo non trova di meglio che sotterrarli qua e là. Il crollo fisico fa da cornice, da specchio, ad un crollo politico, economico ed istituzionale senza precedenti.

Se ci fossero soldi per infrastrutture, questi dovrebbero essere indirizzati in gran parte al rimboschimento, al recupero idrogeologico, ma questa è storia lunga che non possiamo affrontare ora. Quella che è oggi l’emergenza più manifesta è lo sbriciolamento del sistema viario siciliano, da quello “provinciale” e locale ai più grandi assi autostradali; un sistema viario ormai abbandonato da tutti come ai tempi del collasso dell’Impero Romano, e infatti si respira un’aria da nuovo oscurantismo…

Non è solo la Palermo-Catania, la più importante strada dell’Isola, ad essere crollata senza realistici percorsi alternativi. È tutto il sistema che cede. Palermo, ormai, comunica solo bene sull’asse tirrenico da Trapani a Messina, mentre sia la Palermo-Sciacca sia la Palermo-Agrigento si sono ridotte a nuove “trazzere”, impraticabili. Per “par condicio”, all’altro capo dell’isola, il Governo ha ritenuto “non strategica” la strada statale Catania-Ragusa, come poco tempo fa aveva ritenuto di dover declassare l’aeroporto di Fontanarossa, oggi (cioè prima del crollo) molto usato anche dai palermitani soprattutto per i collegamenti con l’estero. Questi crolli, questo abbandono, avrà un impatto devastante sul sistema dei trasporti e logistico, e in ultima analisi sul PIL. Interventi urgenti? Macché! Se ne parlerà fra anni, molti anni, per tentare di riparare un danno assai prevedibile.

crocettaDov’è la Regione? Non c’è, non ha più un centesimo: ha rinunciato a tutti i propri diritti per trasformarsi volontariamente in un protettorato coloniale. Mai come ora, di fronte alla “soddisfazione” del presidente per la chiusura, puramente contabile, di un bilancio, si è dimostrata la totale impotenza di un governo regolarmente eletto nel dare risposta ai più elementari bisogni dei propri cittadini.

Dov’è lo Stato? Quello stato di cui, non certo per nostra volontà, facciamo parte… Non c’è, non ha una lira, e comunque non considera la Sicilia vero e proprio “territorio metropolitano”. È un possedimento coloniale, le esigenze dei sudditi coloniali vengono per ultime. Ma il colonialismo è straccione. Non è in grado nemmeno di tenere in piedi le infrastrutture che faciliterebbero lo stesso sfruttamento. Gli italiani, quando possedevano la Libia, costruirono la famosa “litoranea”, ancor oggi la principale arteria viaria del Paese africano. In Sicilia, invece, assistono impotenti alla distruzione di quelle poche vie che i Siciliani nel Dopoguerra, con il mitico art. 38 dello Statuto, il più insultato e forse l’unico conosciuto dai giornalisti italiani, si erano fatti da soli, con una semplice percentuale delle nostre accise petrolifere.

In Sicilia l’Italia è capace solo di mandare un ministro che viene a dire in modo superficiale ed arrogante che “spera che la Sicilia mantenga gli impegni” e quindi che non sia “commissariata”. E il paradosso grottesco è che questa signorina, che ignora la Costituzione, lo Statuto e il semplice buon senso, è invitata da un pubblico plaudente di sudditi. Osa parlare di “leale collaborazione” tra Stato e Regione, quando ormai anche il più incolto dei Siciliani sa che lo Stato ruba alla Sicilia le proprie entrate naturali, che lo ha sempre fatto, sin dall’Unità d’Italia, e poi impone continui tagli e prestiti a usura. Ma forse lei non sa nulla. Non è neanche del tutto colpa sua. Nessuno le ha spiegato che uno dei doveri elementari di uno Stato è quello della perequazione infrastrutturale, e che di fronte alla tragedia del sistema viario siciliano, dovrebbe scattare un’emergenza nazionale, il “patto di stabilità” dovrebbe essere mandato a quel paese.

Secondo voi cosa farebbe la Germania se un’ondata di maltempo travolgesse il sistema viario della Sassonia?  Verrebbe a dire al Land di fare “i compiti”? Siamo seri! Ormai la nostra sudditanza è alla luce del sole! È evidente che non siamo più cittadini, né italiani, né europei, ma neanche siciliani, perché la cittadinanza siciliana non esiste. Siamo massa, sudditi senza diritti e basta. Ce lo dicono praticamente in faccia ogni giorno.

Ormai la Sicilia è un protettorato, e non si poteva non chiudere il bilancio. Anche – permetteteci un po’ di amara soddisfazione personale – perché un gioco di questo tipo era stato già denunciato e non se lo potevano più permettere. E allora? Come lo stanno chiudendo questo benedetto bilancio?

Come la Grecia occupata dai nazisti chiudeva il proprio. Con un prestito imposto dal paese occupante! Un po’ del furto, smisurato, viene restituito – briciole s’intende – perché non si può sconfessare del tutto il proprio governo proconsolare. Si replica l’inserimento di entrate virtuali nel bilancio (questa volta sono 450 milioni di euro), facendo finta che poi lo Stato le darà. Sarà… Abbiamo stravolto le regole giuridiche della Contabilità di Stato. E io che credevo che se metto un credito nel mio bilancio, ci sarà un debito nel bilancio in quello di qualcun altro… E invece ho scoperto che non è cosi. Ci sono alcune entrate tributarie che sono credito tanto nel bilancio della Regione quanto in quello dello Stato: una miracolosa moltiplicazione dei pani e dei pesci…

Il debito è arrivato a 8 miliardi. Se non ricordo male Crocetta ne aveva ereditato circa 5 dai precedenti governi. Si va a un ritmo di un miliardo l’anno di nuovi debiti. Sarebbe ancora sostenibile. Se fossimo indipendenti equivarrebbe a circa il 10 % del Pil. Molte Regioni sono messe peggio. Il problema è però di principio. Lo Stato, defraudando la Regione delle entrate proprie, e imponendole il debito, in pratica le sta traslando parte del proprio, abusando del potere che le deriva dalla sovranità che esercita sulla Sicilia.

Il problema è di principio: i debiti forzosi sono immorali, e non andrebbero pagati. È come se un usuraio ci togliesse lo stipendio e poi ce lo prestasse. I Siciliani dovranno per sempre pagare le tasse più alte di tutta l’Italia (come se ne facessimo veramente parte) per pagare debiti imposti con questo stratagemma. Le tasse si devono pagare, è vero, è dovere civico. Ma fino a quando? Fino a quando? Fino alla confisca violenta di tutti i redditi, di tutti i patrimoni, della fiducia, della lealtà tra Stato e Cittadino, fino a che non ci è tolta persino la speranza?

Il presidente dice che non ci sono tagli, e in un certo senso ha ragione. Questo messaggio va decifrato. La generale ritirata dalle politiche sociali (niente più assistenza), dalla cultura, dai teatri, dal diritto allo studio all’università, sono sì cose gravissime, già devastanti, ma sono solo l’antipasto di quel che ci attende. Non sono (pare) toccati ancora precari e forestali. Quelli sono finanziati con le entrate virtuali promesse dallo Stato. Se vengono meno, pazienza. Forse ha ragione. L’esecuzione della Sicilia è rinviata. Un fallimento clamoroso sarebbe troppo pericoloso per l’ordine pubblico. Non si pugnala la Sicilia, la si può però strangolare, asfissiare poco a poco, esattamente come l’Europa ha fatto con la Grecia fino alla ribellione di quest’ultima. Ed è quello che ci attende inesorabilmente nei prossimi anni se non ci diamo in qualche modo anche noi una smossa.

Qui non servono più i colpi educati di fioretto in punta di diritto del Presidente Ardizzone, peraltro espressione lui stesso di una classe politica che ha perso ogni credibilità. Qui ci vorrebbe un’ascia da guerra, una sollevazione generale e ben mirata.

Poi ci sono i giornali siciliani che aumentano la confusione, parlando di “aiuto” dello Stato. Ma quale aiuto? Sono soldi nostri, nostri tributi, non mi stancherò mai di dirlo. Ma tanto basta a demoralizzare il già frustrato siciliano medio.

E qui andiamo al vero cuore del problema. I Siciliani sembrano frustrati e rassegnati. Pronti ancora ad esplodere, per singole categorie, per difendere l’ultimo pezzo di pane rimasto. Incapaci però di remare tutti insieme verso una meta unica. I Siciliani considerano il colpo di maglio che si sta abbattendo su di loro come un fato ineluttabile, privo di alternative, contro il quale è inutile tentare di ribellarsi. Che dovrebbe fare Crocetta? Ormai c’è la cancrena. Il piede va tagliato e basta. Ed è in questa rassegnazione che siamo veramente vinti.

Il problema è tutto lì, pensiamoci. Se qualcuno desse una fede politica a questo Popolo vinto, non solo sarebbe spazzata via una classe di ascari indecente, ma tutto, proprio tutto, risorgerebbe sotto i nostri occhi: rimetteremmo in piedi le nostre autostrade, daremmo impulso alle nostre università, tratterremmo capitali e risorse umane, riacquisteremmo dignità. Oggi Cerere piange avvilita, abbandonata dagli stessi Siculi, i suoi figli ormai educati ad odiarla, possiamo sperare qualcosa di diverso?

Massimo Costa

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