L’inizio del cammino giudiziario di Nino Pulvirenti, da ieri agli arresti, e le vicende sportive del Calcio Catania legate agli esiti del calcio scommesse hanno un effetto detonante per l’economia e l’immagine di Catania, il suo territorio e l’intera Sicilia. Giustizia ordinaria e quella sportiva faranno il loro corso e, una volta acclarati i fatti e accertate pienamente le responsabilità, stabiliranno le misure punitive per le persone e per la squadra. Bisogna ripristinare subito un clima di legalità nello sport e negli affari, ma conoscerne in anticipo gli esiti oggi è irrilevante. Si sa per certo invece che da ieri si è determinato un danno forte per Catania e non soltanto.
Da un lato, l’arresto di uno degli imprenditori più influenti e visibili della Sicilia avrà un impatto sulla gestione e sul valore delle aziende e delle altre attività di cui Pulvirenti è proprietario. Al gruppo Finaria fanno capo la Wind jet, la Meridi (distribuzione commerciale), Platinum Hotels and Resort (attività turistico-alberghiere), l’azienda agricola Biorossa, la Logime (trasporti e logistica), la Segea in liquidazione (attività sportive) oltre al Calcio Catania.
Un gruppo che, nell’ultimo bilancio depositato, ha registrato valori di immobilizzazioni pari a 106.667.553 euro, un patrimonio netto di 64.854.586 euro e debiti per poco più di 40 milioni di euro. Tre estati fa ci fu il bagno di sangue causato dalle criticità aziendali di Wind Jet. Adesso è il turno della società Calcio Catania che, per sette stagioni di fila, ha registrato un risultato economico positivo e nel 2013-14 soltanto un’impercettibile perdita di 9.553 euro, ben poca cosa rispetto ai 102,4 milioni di rosso registrati all’Inter nella stagione del trapasso epocale da Moratti a Thoir.
Ma Calcio Catania non è solo un bilancio: al 2014 ben 30.000.000 di euro di patrimonio netto quando al 30 giugno 2006 era di appena 3.217.379; immobilizzazioni per 73.675.113 euro (di cui 24.204.589 immateriali), quando al 30/06/2007 erano di appena 8.861.642; debiti per 61.681.430 al 30 giugno 2014. Nell’orbita del Calcio Catania ci sono i progetti di costruzione del nuovo stadio e la gestione del centro sportivo Torre del Grifo Village (ove c’è un mutuo residuo con l’Istituto per il Credito Sportivo pari a 23,4 milioni di euro); all’esterno c’è l’indotto di servizi e piccole aziende venutosi a determinare già da quando la società militava nella massima serie. Ancora una volta, oltre ai soldi e agli impegni finanziari, ci sono in ballo posti di lavoro e figure professionali nati alle pendici dell’Etna. In una Sicilia già provata dalla crisi finanziaria, economica e di lavoro, l’effetto domino causato anche dal solo inizio di un cammino giudiziario di un imprenditore non è calcolabile. Prima di eventuali condanne sul piano della legge, ci sono gli effetti economico-aziendali di un’impresa che si riverberano sull’intera economia locale. L’esperienza Aligrup dovrebbe insegnare in tal senso.
Dall’altro lato, c’è il danno legato alle vicende sportive della società e della squadra del Calcio Catania. Bisogna ricominciare da zero o comunque più in basso rispetto a dove oggi ci si trova. L’uscita di scena dal calcio professionistico determinerà un ridimensionamento di programmi, investimenti, introiti, plusvalenze, ricavi da botteghino, diritti d’immagine sui giocatori. E anche, purtroppo, un possibile effetto downsizing con l’azzeramento del management (che, ahimé, si è dimostrato incapace) e la perdita di alcune figure professionali.
Se piccolo è bello, e dunque per certi versi può essere una fortuna perché si procede per piccoli passi; essere grandi ha vantaggi oltre alle connesse responsabilità sul piano dei risultati sportivi e dell’immagine. Possono esserci straordinari effetti moltiplicativi sugli utili, sui ricavi e sulle entrate finanziarie. Opportunamente investite queste risorse eccedentarie, si potrebbe puntare sul futuro. Invece, la dirigenza del Calcio Catania ha sprecato nell’ultimo anno una grossa opportunità per fare bene alla società, alla squadra e all’intera tifoseria. Sembra che ci sia una sorta di iattura su molti imprenditori catanesi e sullo stesso modo di fare impresa: non saper guardare oltre il proprio naso. Quando si prova a guardare oltre il proprio naso, per incapacità manageriali più che per mancanza di lungimiranza dei proprietari, si fanno solo magrissime figure. Sappiamo veramente fare grande impresa in Sicilia?
La doppia vicenda giudiziaria e sportiva di Pulvirenti e del Catania fa male. Ai catanesi e agli sportivi, da sempre legatissimi alla bandiera rossazzurra. Oggi piangono amaramente. Al sistema imprenditoriale siciliano, perché – al di là di beghe e di contiguità col mondo della politica – al suo interno è incapace di far veicolare modelli di sana imprenditoria improntati ai valori della legalità e della moralità ed ispirati ad una vera cultura di mercato, dell’innovazione e della internazionalizzazione (qualche stagione fa, quando il Catania in serie A era in odor d’Europa, si fantasticava su tutto quello che se ne sarebbe derivato se la squadra avesse guadagnato l’accesso alla Europa League). Infine, da male alla città. C’è un incredibile danno di immagine per la città e il territorio. Tutto quello che di bello è stato realizzato in questi anni, aprendo meravigliose pagine del libro della Speranza nell’economia (vedi il mondo delle start up innovativo), è stato d’un colpo spazzato via riproponendo lo spettro della crisi, una crisi che ha trasformato molte aziende, comprese alcune di Pulvirenti, in un ammasso di carte più che veri e propri contenitori di progetti ed investimenti imprenditoriali. Abbiamo perso un altro treno per rilanciare la nostra immagine. E non era il treno 33.
Saro Faraci
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