Ieri assemblea molto partecipata, dove…
Un fatto come questo non si ricorda a memoria di cronista: due avvocati coinvolti pesantemente in un’inchiesta di mafia, con un provvedimento di custodia cautelare anche per due legali che ha suscitato clamore immediato nei corridoi del Palazzaccio di piazza Verga.
Sono giorni complicati per i penalisti catanesi, dopo quanto venuto fuori dall’inchiesta “Vicerè” che ha assestato un duro colpo al clan Laudani. C’è chi fa finta di niente, ma l’imbarazzo si nota da qualche giorno: non è partita la solita – talora ipocrita – “gara di solidarietà”, non ci sono state “sollevazioni” o simili, prevale la prudenza.
Una conferma ne è venuta ieri, al termine dell’affollatissima assemblea della Camera Penale, in un clima di forte partecipazione, confermata dall’alto numero di presenti, in un’aula traboccante. Non è venuta, comunque, meno la riservatezza dell’incontro, come confermato dal voto contrario alla richiesta di registrazione da parte di Radio Radicale. Decisione alquanto discutibile, ma così ha voluto l’assemblea.
E’ scritto nel comunicato finale: “la Camera Penale Serafino Famà riunita in assemblea, avuto riguardo all’arresto dei due colleghi penalisti del Foro di Catania, prescindendo da ogni valutazione sul merito e sulle esigenze cautelari in quanto estranee al proprio Statuto, confida in una rapida verifica della loro posizione processuale…”.
C’è, quindi, una primaria esigenza di chiarezza e in tempi rapidi: insomma tutto rimesso al Gip e poi al Riesame che nelle prossime settimane saranno chiamati ad una prima valutazione sulle esigenze cautelari, su sollecitazioni delle Difese, con gli avvocati Enrico Trantino (per l’avv. Giuseppe Arcidiacono) e Salvatore Caruso (per l’avv. Salvatore Mineo).
“Per l’avvocatura catanese – continua il comunicato finale dell’assemblea – il prestigio della toga è un presupposto valoriale indefettibile nell’esercizio della professione e ciò vale anche nella complessa e delicata gestione del rapporto con i clienti. Non è un caso che la nostra associazione a Catania sia intestata a Serafino Famà, ucciso per aver preteso il rispetto del ruolo dell’avvocato e dei doveri che su di esso incombono, nonostante i diversi auspici di un boss mafioso. Ed è in forza di questo bagaglio di esperienze che abbiamo sempre preteso un alto livello di vigilanza e probità nell’esercizio della professione, tali da non consentire zone d’ombra.”.
Insomma, rigore sia nella valutazione delle accuse, sia nelle condotte che eventualmente dovesse essere riscontrate.
Al di là del caso in questione, in generale c’è forse un “abbassamento” degli standard medi comportamentali – in termini anche solo di condotte quotidiane – fra le fila degli avvocati penalisti? Più che una sensazione è quasi una certezza per chi frequenta le aule del Palazzaccio.
In tempi di crisi, di comportamenti “disivolti” se ne registrano diversi da tempo: certo, da qui ad un’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ne passa e tanto, ma è anche vero che il clima a piazza Verga è piuttosto velenoso e conflittuale da qualche anno a questa parte.
“La credibilità di uno Stato di diritto – conclude il comunicato della “Serafino Famà”- passa anche dal rispetto delle garanzie costituzionali, tra cui la presunzione di non colpevolezza. Ci affidiamo, pertanto, al senso di responsabilità della magistratura, preoccupati che la spettacolarizzazione mediatica e il giudizio sociale vanifichino la decisione giudiziale”.
Un “messaggio” alla magistratura? Di certo, c’è da segnalare che in conferenza stampa, il giorno degli arresti, i magistrati della Procura sono stati alquanto rispettosi nel trattamento della vicenda riguardante gli avvocati.
In generale, è prevalso un qual certo garantismo, anche di fronte alle domande incalzanti dei cronisti. Non è un’abitudine inveterata, visto il trattamento riservato ad altri indagati in altre circostanze: spesso, a chi non ha un titolo o un “nome” in una città di provincia viene riservato ben altro trattamento, molto poco garantista. Ma, come dicono in tanti, soprattutto nei convegni, la legge è uguale per tutti. Proprio così.
Marco Benanti