Come anticipato da gazzettinonline martedì scorso l’operazione Nebrodi ha portato in manette anche i presunti capi dei due gruppi, Giovanni Pruiti fratello dell’ergastolano Giuseppe, condannato per associazione mafiosa e omicidio, e Salvatore Catania, detto Turi (clicca e leggi Mafia dei Nebrodi: sottoposti a fermo una decina di indagati tra Cesarò e Bronte).
La Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Catania ha emesso, il 13 febbraio scorso, un Decreto di fermo di indiziato di delitto a carico di 9 persone per essere le stesse gravemente indiziate, a vario titolo, di appartenere alla articolazione di cosa nostra etnea operante nei Comuni di Bronte, Cesarò e Maniace, nonché di essere autori di atti estorsivi aggravati dal metodo mafioso.
Il provvedimento è stato eseguito nelle prime ore di martedì 14 febbraio da personale dei Carabinieri del ROS di Catania e della Compagnia di Santo Stefano di Camastra.
Il quadro probatorio descritto nel provvedimento di fermo ha trovato accoglimento nei provvedimenti di custodia cautelare emessi nel pomeriggio di ieri, venerdì 17, dai competenti Uffici GIP del Tribunale di Catania, nonché di Ragusa e Caltagirone, nei confronti di tutti e 9 i soggetti fermati.
L’indagine, denominata Nebrodi, trae spunto da quanto accaduto al dott. Giuseppe Antoci, presidente dell’Ente Parco dei Nebrodi dal 2013, allorquando, nelle prime ore del 18 maggio 2016, subiva un attentato in località San Fratello, rimanendo illeso.
Nel corso delle conseguenti attività di analisi, si focalizzava l’approfondimento investigativo sul particolare risvolto economico connesso al possesso di terreni ed animali nell’area teatro delle condotte che nel corso dell’indagine si sono poi ricostruite.
Si rilevava, in particolare, che la vittima dell’attentato aveva riscontrato che la conduzione dei terreni gestiti dal Parco era stata per lungo tempo affidata ad assetti aziendali contigui o riferibili ad aggregati mafiosi che, in tal modo, riuscivano ad ottenere importanti contributi comunitari erogati dall’Agea e a drenare importanti flussi finanziari destinati al settore agricolo.
Per tale ragione, il 18 marzo 2015, l’ente Parco, i Comuni del comprensorio e altri enti pubblici siglavano un Protocollo di legalità, che tra i requisiti per la partecipazione ai bandi relativi all’affidamento dei terreni pubblici imponeva il possesso della certificazione antimafia.
Ciò produceva effetti preclusivi per le aziende non in grado di ottenere la prescritta certificazione e spingeva le aziende non in regola a rivolgere l’attenzione a terreni privati e a diversi moduli organizzativi al fine di acquisire il controllo dei terreni e dei connessi, e ingenti, benefici economici.
Tali innovazioni determinavano effetti anche sul territorio di competenza della Procura di Catania, giacché nella gestione del citato ente rientrano anche aree ricadenti nei territori di questo distretto giudiziario, individuati nei Comuni di Bronte, Maniace e Randazzo.
In tale contesto, nel giugno del 2016, si dava avvio ad un primo filone di indagine incentrato sulla figura di Salvatore Catania, già elemento di vertice del clan mafioso operante nell’area territoriale compresa tra i comuni di Bronte, Maletto, Maniace e Cesarò, saldamente legato a cosa nostra catanese facente capo ai Santapaola – Ercolano.
Si traeva anche spunto da quanto emerso in precedenti analoghi contesti investigativi, l’ultimo dei quali, Kronos, consentiva di documentare l’attuale operatività di Salvatore Catania quale elemento la cui presenza veniva ritenuta indispensabile nei maggiori momenti relazionali dell’associazione cosa nostra etnea.
A ciò si aggiungeva il secondo filone di indagine cui dava la stura un primo plateale e feroce atto intimidatorio commesso ai danni di un allevatore cesarese.
Una prima analisi della situazione patrimoniale e delle attività economiche della persona offesa e gli iniziali accertamenti portavano a ricondurre il gesto ad una più ampia attività estorsiva diretta nei confronti di questi e di altri due suoi soggetti, con i quali il primo aveva già formalizzato preliminari di acquisto di terreni, con una estensione di circa 120 ettari, ricadenti nel parco dei Nebrodi, per i quali il prezzo finale di acquisto veniva concordato in 440.000,00 euro e con riguardo ai quali si potevano calcolare profitti stimati sull’ordine dei 50 mila euro annui.
VIDEO: LE INTERCETTAZIONI
L’immediata attività di indagine, che comunque si scontrava contro un impermeabile muro di omertà e reticenze consentiva di stabilire che il delitto in parola, maturato in un preciso ambito di criminalità organizzata di stampo mafioso, vedeva come protagonista Giovanni Pruiti il quale, unitamente a Carmelo Lupica Cristo, Carmelo Triscari Giacucco, Giuseppe Corsaro, Antonino Galati Giordano, Luigi Galati Giordano e Salvo Germanà, si era attivamente adoperato nel tentativo di indurre quei promissari acquirenti di estesi appezzamenti di terreno, anche con ulteriori efferati atti intimidatori, concretizzatesi anche in gravi aggressioni alle loro persone, a recedere dalle trattative, benché esse fossero state formalizzate e perfezionate col versamento di caparre dell’ordine di 200.000 € complessivi.
L’impianto investigativo, fortemente sviluppato a seguito di tali fatti, consentiva di evidenziare un forte legame tra Pruiti e lo stesso Catania Salvatore, risultando questi, grazie anche al ruolo rivestito dal suo fidato Roberto Calanni, assolutamente egemone su tutta quell’area nebroidea.
Le evidenze raccolte attraverso attività tecniche e tradizionali metodi investigativi, documentavano come il sodalizio riuscisse ad ostacolare con il metodo mafioso ogni libera iniziativa agricola-imprenditoriale e condizionare fortemente il libero mercato.
Infatti, danneggiamenti, furti, uccisione di animali ed estorsioni sono divenuti ordinario strumento per indurre i proprietari a riconoscere come unici interlocutori gli aggregati mafiosi che, volta per volta, scelgono la condotta da tenere: intavolare autonome trattative con i proprietari terrieri oppure inserirsi in quelle eventualmente già in essere ad opera di terzi, inducendo le relative parti a recedere dagli intendimenti negoziali.
In tale ultimo caso, l’aggregato operava in prima istanza su tutti gli aspiranti acquirenti provocandone il recesso dalle trattative in corso, anche mediante concrete intimidazioni, come è avvenuto nelle ipotesi contestate agli arrestati, nelle quali i sodali, fondando il proprio potere contrattuale sulla forza intimidatrice promanante dal vincolo associativo, hanno, di fatto, ostacolato l’iniziativa economica privata, coartando la volontà dei soggetti imprenditoriali ed alterando le logiche di mercato.
In tale contesto, il perpetrarsi di una ulteriore intimidazione ad uno dei vessati promissari acquirenti dei terreni sopra descritti, avvenuta in pieno centro e non senza far ricorso ad atti di estrema violenza, ed il riferimento al pericolo di vita per gli stessi qualora non si fossero definitivamente allineati al disegno criminale, rendeva necessario ed improcrastinabile un intervento d’urgenza quale il decreto di fermo emessi da questa Procura Distrettuale.
I NOMI DEGLI ARRESTATI
Roberto Calanni, di Paternò, 37 anni, Salvatore Catania, 55 anni, di Bronte, Giuseppe Corsaro, 33 anni, di Bronte, Antonino Galati Giordano, 34 anni, di Bronte, Luigi Galati Giordano, 32 anni, di Bronte, Salvo Germanà, 41 anni, di Bronte, Carmelo Lupica Cristo, 62 anni, di Tortorici, Giovanni Pruiti, 41 anni, di Bronte e Carmelo Triscari Giacucco, 44 anni, di Cesarò.