I soci dell’Archeoclub d’Italia, sede di Acireale presieduta dal geometra Alfredo Rizza, hanno avuto modo di attenzione il mondo romano del primo secolo a. C. grazie alla disponibilità del loro vice presidente, arch. Maurizio Militello, che ha trattato il tema “Architettura vitruviana”. Un argomento interessante e stimolante su opere di uomini illustri romani di quel tempo.
“Marco Vitruvio Pollione, nato attorno all’80 a.C. e morto attorno al 15 a.C. – ha introdotto Militello – è considerato uno dei maggiori trattatisti dell’antichità avendo svolto al seguito di Cesare l’attività di “scriba armamentarius” nel settore militare, essendo dell’”ordo apparitores”, l’ordine professionale che collaborava con chi aveva responsabilità politiche all’interno della pubblica amministrazione. Sono ignote le sue origini ma la letteratura filologica riconosce quali sue fonti primarie quelle di Marco Terenzio Varrone, prolifico scrittore latino di Rieti, di Cicerone, Lucrezio, Pitagora, Platone, Aristotele, e dell’architetto Ermogene di Priene”.
Fatta questa premessa, da buon relatore, l’arch. Militello ha evidenziato che l’interesse per Vitrurio, teorico di architettura, è il suo celebre trattato “De architectura”, opera preziosa ed unica in 10 libri, perchè ci informa dettagliatamente dei sistemi costruttivi romani (pubblici e privati) e perchè pervenutaci per intero. L’opera è stata dedicata dall’autore a Gaius Julius Caesar Octavianus Augustus (63 a.C – 14 d.C.) e si presume sia stata scritta tra il 30 e il 20 a.C.
Il perchè di un’opera voluminosa sull’architettura? Perchè Vitruvio riteneva che nell’epoca in cui stava vivendo, il mondo antico (ellenistico-romano) era minacciato dalla dissoluzione delle arti, e quindi dell’architettura a causa di una crisi politica globale che aveva investito il mondo romano, culminata nella fine della repubblica, incarnata da Pompeo Magno Gneo, e nell’avvento del regime monocratico di Cesare e poi del principato di Augusto.
Quindi, per Vitruvio, si era in presenza di un vero declino dei valori morali e il conseguente lento allontanamento dell’ “architettura” dall’ambito tradizionale, cioè dall’ambito sacrale autentico. Occorreva salvare e valorizzare tutto il grande bagaglio di arte, cultura, tradizioni e tecnico antico con una meticolosa raccolta e riordino del sapere sull’argomento nei suoi aspetti più vivi e forti. E in “De architectura”, quale uomo di cultura di base (his litteris), si propose tutto questo utilizzando le argomentazioni delle arti liberali: dialettica, grammatica, retorica, assieme ad aritmetica, geometria, musica e astronomia.
Inoltre, così facendo, esprimeva appieno lo spirito del “circolo degli scipioni” di cui faceva parte il letterato Publio Terenzio Afro e membri della famiglia degli Scipione: l’ammirazione dei canoni (foto piccola) prodotti dalla cultura greca! Vitruvio con questa sua opera si pone quale alfiere della tutela e conservazione di un mondo che lentamente volgeva al declino con la necessità di dare una forma scritta a tutto ciò che apparteneva alla tradizione orale, giunta fino a lui, convinto che la tradizione costruttiva latina o in generale italica, fosse perfettamente sovrapponibile a quella egizia.
La fortuna del trattato vetruviano fu grande perchè apprezzata da Plinio il Vecchio ed utilizzato dagli architetti della tarda antichità, nonché in epoca rinascimentale da Leon Battista Alberti, Filarete, Raffaello, Palladio.
“Non dobbiamo dimenticare – ha concluso Militello – quanto sostenuto dal prof. Jean Hani dell’università della regione della Picardie (Francia) che il rapporto tra l’ordine cosmico e quello architettonico è magnificamente riassunto in una formula lapidaria del faraone Ramsete II, uno tra i più famosi sovrani d’Egitto (1290.1233 a.C.): Questo tempio è come il cielo in tutte le sue disposizioni”.
Camillo De Martino
Nella foto di copertina, da sinistra: Giuseppe Santini, tesoriere, arch. Maurizio Militello, presidente Alfredo Rizza .
Foto all’interno: Rapporto tra la scala pitagorica e le distanze tra le colonne del Partenone